Prosecco, Chianti e Orvieto low-alcohol: abbassare il tenore alcolico dei vini italiani è già tendenza

Il low alcol non è un vezzo per ventenni. Non se i consorzi di produzione delle grandi DOC italiane modificano i propri disciplinari in favore di un minore grado alcolico consentito. Ha iniziato l'Orvieto, ma la strada è segnata.

Prosecco, Chianti e Orvieto low-alcohol: abbassare il tenore alcolico dei vini italiani è già tendenza

Vi ricordate cosa succedeva poco tempo fa: il vino veniva difeso a spada tratta contro le nuove tendenze no-low alcohol, poi il ministro Lollobrigida ha infine aperto a questa tendenza, non mancando di chiosare inizialmente “però non chiamiamolo vino”. Già, perché il vino è tradizione, storia millenaria, cultura insita nella nostra bella penisola già dall’antico nome di Enotria; non può e non deve essere cambiato, pena l’irrimediabile perdita dei nostri italici valori. Il vino si fa con l’uva ben matura, e l’alcol non è che un prodotto naturale della sua fermentazione. Tanto o poco che sia, è naturale e nel vino deve starci.

Bene, però poi che succede? Succede che alcuni consorzi di tutela, composti da persone che col vino non ci chiacchierano ma ci vivono (vendendolo), si rendono conto che l’attenzione dei consumatori al grado alcolico è una componente del mercato importante e non passeggera; e così è partita da qualche tempo una revisione ai disciplinari di produzione per ridurre il grado alcolico minimo consentito. Riduzione naturale, specificano tutti scrupolosamente, ma è pur sempre una riduzione.

Che poi ci sarebbe sempre un cambiamento climatico in corso: la temperatura è in progressiva crescita, le uve di conseguenza si caricano di zuccheri e devono essere vendemmiate sempre prima. Non dovrà essere una passeggiata portare le uve al grado zuccherino adatto, in modo da raggiungere una gradazione alcolica bassa e, al contempo, avere anche un buon carico aromatico a corredo. Ma questi sono problemi che lascio volentieri agli enologi.

L’Orvieto traccia il sentiero del low alcol

orvieto doc

Il primo disciplinare modificato in tale senso è stato quello dell’Orvieto DOC, entrato ufficialmente in vigore lo scorso luglio. Il grado alcolico minimo consentito è passato dall’11,5% al 10% (per l’Orvieto Superiore si è passati dal 12% all’11%) e le prime bottiglie a tenore alcolico ridotto sono già sul mercato. Io finora non ho sentito di levate di scudi a difesa dell’Orvieto DOC, delle versioni dei tempi antichi e della conservazione nelle grotte di tufo, non so voi.

Altro disciplinare che certamente vedrà presto una modifica è quello del Prosecco DOC. È stato avviato nel 2024 il progetto “Prosecco Low-Alcohol”, con l’obiettivo di produrre spumanti a base di uva glera che abbiano un tenore alcolico compreso tra 8% e 9% e, soprattutto, pochi zuccheri residui, in modo da ottenere spumanti brut (meno di 12 g/l di zuccheri residui) o extra dry (12-17 g/l), le tipologie più appetibili per il mercato. Attualmente il disciplinare prevede per il Prosecco DOC Spumante un grado zuccherino minimo del 10,5%, per cui il passo indietro è consistente; ma riteniamo che nulla sia impossibile per una denominazione che, partendo dal piccolo borgo di Trieste, si è estesa su tutto il Friuli e il Veneto; non paga, nel 2020 ha lanciato sul mercato anche la versione Rosé, che con la tradizione, signora mia, siamo così così. Va detto che per il Prosecco Rosé ci fu una discreta indignazione mediatica, se non che il consorzio proseguì dritto per la sua strada ed oggi è una solida realtà sugli scaffali della GDO e sui mercati internazionali: 60 milioni di bottiglie vendute nel 2024, +20% rispetto al 2023, l’80% delle vendite è in mercati esteri.

Restando in Veneto, altri due consorzi stanno valutando l’abbassamento del grado alcolico minimo. Uno è quello del Pinot Grigio DOC Delle Venezie, una denominazione che sui mercati internazionali ancora canta con voce baritonale. L’intenzione è di studiare un modo per raggiungere naturalmente un grado minimo del 9%, contro il minimo dell’11% attualmente previsto dal disciplinare, senza snaturare il prodotto al palato dei consumatori.

L’altro consorzio che si sta muovendo potentemente è quello del Garda DOC, con la proposta di un Garda DOC 100% uva garganega che passi dal 10,5% di grado attuale al 9%. Una riduzione enorme, un vino low-alcohol a tutti gli effetti, che parte da uno studio lungo cinque anni e che porterà entro breve tempo al suo inserimento nel disciplinare.

Addirittura il Chianti e il Nero d’Avola a basso tenore alcolico

Se ancora non foste convinti sulla serietà della situazione, magari vi farà cambiare idea l’interesse per il low-alcohol di un consorzio come quello del Chianti, che in quanto a storia e tradizione si piazza ai vertici di un’ipotetica classifica. Eppure, come è stato spiegato in un’intervista concessa al Gambero Rosso dal presidente Giovanni Busi, il consorzio sta cominciando a discutere su come ottenere vino Chianti con un volume alcolico naturale di 9-10 gradi (10,5% sono i gradi minimi previsti dal disciplinare) che non appaia organoletticamente snaturato. L’impresa è decisamente sfidante, ma dovette esserlo anche fare il primo Chianti senza le uve bianche, come il Barone Ricasoli comandava. Tempo al tempo.

Infine, qualcosa si sta muovendo anche al sud, con Assovini Sicilia e l’Università degli Studi di Milano, ISVEA e quattro aziende siciliane (Dimore di Giurfo, Feudi del Pisciotto, Tenuta Rapitalà e Tenute Lombardo) che hanno varato il progetto innoNDA (altresì detto Strategie Enologiche per la Produzione Sostenibile ed Innovativa del Nero D’Avola). Il Nero d’Avola è stato il simbolo della Sicilia enologica, prima che il nerello mascalese in generale e l’Etna DOC in particolare lo disarcionassero. Ora con questo progetto si punta a realizzare vini a base nero d’Avola con tenore alcolico ridotto dell’1-1,5%, anche se non in modo naturale ma tramite tecnologie fisiche e a membrana. Ma d’altro canto, per ottenere naturalmente in Sicilia un vino sotto i 12 gradi si corre il rischio di dover vendemmiare a metà maggio. Sebbene non ci siano ad oggi prospettive di modifica di alcun disciplinare, lo studio potrà essere un buon supporto per l’enologia sicula del futuro.