Siamo agli sgoccioli del 2025, mancano pochissime rotazioni terrestri per piazzare quest’anno nel passato. E, come da tradizione, l’archiviazione verrà ufficializzata tramite apertura di uno spumante. Ma siccome qui ci poniamo delle domande, tentando anche di dare delle risposte, ci siamo chiesti: quale sarà lo spumante più tappato dagli italiani? E perché?
Se siete appassionati di vino, semplici curiosi o anche solo gente che passa senza sonnecchiare per gli scaffali enologici del supermercato, vi risulterà molto facile rispondere alla prima domanda: lo spumante più presente nelle case italiane è il Prosecco. Chiariamo che, per questo specifico argomento stiamo mettendo sotto il nome unitario di ‘Prosecco’ sia la DOC, dai confini estremamente ampi, che le due più specifiche DOCG: Prosecco Conegliano Valdobbiadene e Prosecco Colli Asolani (o Prosecco Asolo). Sul perché il Prosecco sia così diffuso si possono individuare diversi motivi, tutti molto logici e lineari.
Innanzitutto la vastità dell’areale: il Prosecco DOC, ricordiamo, può essere prodotto su tutto il territorio del Friuli-Venezia Giulia e del Veneto (escluse le provincie di Rovigo e Verona). Con tanti ettari a disposizione, non stupisce che la produzione annua di Prosecco DOC costeggi la cifra di 650 milioni di bottiglie. Aggiungiamoci anche circa 100 milioni di bottiglie di Prosecco Conegliano Valdobbiadene DOCG e quasi 30 milioni di bottiglie di Prosecco Asolo DOCG e abbiamo ottenuto l’80% della produzione spumantistica italiana.
L’80% degli spumanti italiani è Prosecco

Lo ripeto: l’80% degli spumanti italiani fa parte del sistema Prosecco. Con queste cifre, è già chiaro che sia più facile trovare in una casa italiana un Prosecco rispetto a una Vernaccia di Serrapetrona (circa 200mila bottiglie prodotte ogni anno, uno spumante metodo classico da uve a bacca rossa che prevede tre fermentazioni, prodotto in versione sia secca che dolce, dal profumo e sapore sublimi; ora avete una chicca da inseguire).
Ma non basta la saturazione del mercato a spiegarne il successo, altrimenti non avrebbe superato nelle vendite mondiali lo Champagne da oltre un decennio. Un altro fattore chiave è infatti il costo della bottiglia: il prezzo medio a scaffale del Prosecco si aggira tra i 5 e i 7 euro, una decina di euro per l’Asolo DOCG mentre rimaniamo sotto i 15 euro per i Conegliano Valdobbiadene DOCG. Se proprio vogliamo esagerare, optando per il Cartizze, il cru del Conegliano Valdobbiadene DOCG, possiamo arrivare anche a 25 euro, con punte che comunque difficilmente raggiungono i 50 euro a bottiglia.
È chiaro che un conto è bere un Prosecco ottenuto da uve coltivate in collina in maniera rispettosa della vite e un’altra è bere Prosecco ricavato da uve cresciute nelle vaste pianure padane con rese da mastodonti, ma in linea di massima i prezzi del sistema Prosecco restano sempre nei limiti del ponderabile.
Di contro, notando i prezzi degli altri spumanti italiani, osserviamo come i Franciacorta DOCG e Trento DOC difficilmente scendano sotto i 15 euro per le loro versioni base, con punte di eccellenza che reclamano prezzi a tre cifre (domandare ad un enotecaro di Annamaria Clementi o di Giulio Ferrari per farlo felice); gli Alta Langa DOCG vantano prezzi globalmente maggiori, mentre gli Oltrepò Pavese Metodo Classico DOCG sono ancora piuttosto abbordabili e qualitativamente interessanti, ma non li troverete mai venduti alle cifre di un medio Prosecco.
Si consideri il metodo produttivo
Qui però arriva un’ulteriore distinzione: il metodo produttivo. Gli spumanti italiani appena menzionati sono tutti dei Metodo Classico. Per farla brevissima: il vino viene messo in bottiglia assieme a zucchero e lieviti e, al chiuso del vetro, parte la seconda fermentazione che donerà allo spumante la sua effervescenza. Senza entrare nei dettagli, vi basti sapere che questa fermentazione è molto lunga e laboriosa (almeno 12 mesi di affinamento sui lieviti) ma dà origine a spumanti più complessi e (teoricamente) in grado di reggere bene l’urto del tempo.
Viceversa il Prosecco viene prodotto attraverso una fermentazione in autoclave: si piazzano sempre vino, zucchero e lieviti insieme, ma stavolta dentro un tank di acciaio. La presa di spuma avviene entro una ventina di giorni, dopodiché lo spumante può essere imbottigliato: il risparmio in termini di tempo e lavoro è notevole. E va detto che il vino che se ne ricava non è ‘di qualità inferiore’ rispetto al metodo classico, perché ricordiamo che la qualità principale di un vino appartiene all’uva vendemmiata: è da lì che parte tutto, con un’uva scarsa non c’è metodo classico che possa nobilitarla. Semplicemente, il metodo Martinotti produce vini più immediati, dalle caratteristiche gustolfattive più orientate verso componenti floreali e fruttate che non verso le famigerate variazioni della ‘crosta di pane’ degli spumanti metodo classico base.
Così giungiamo all’ultimo punto che consente al Prosecco di torreggiare alto sulle altre bollicine: la spensieratezza. Gli spumanti vengono aperti al 99% per festeggiare qualcosa o qualcuno (per quell’1% che li apre anche un qualsiasi mercoledì sera per pasteggiarci, io vi vedo e vi abbraccio: non siete soli). Se uno spumante deve essere ‘capito’, va a rovinare il momento di festa e rimane inevitabilmente lì, abbandonato dentro flûte di plastica sparse su qualsiasi superficie piana della casa, balconi compresi. Invece il Prosecco se ne frega del contenitore: calice Riedel? Perfetto. Bicchiere di plastica? Va bene lo stessooo (cit.).
Che sia un Cartizze, un Col Fondo o un Mionetto, il Prosecco è sempre allegro, con la sua nota di pera e quel minimo di residuo zuccherino presente anche nelle versioni Brut (a voi un utile ripasso per la classificazione degli spumanti). Trasmette a chiunque lo compri la serenità che non verrà mai giudicato per la scelta fatta: potrà berlo assoluto, crearci una sorta di spritz o improvvisare un Mimosa, e sarà sempre festa (provate a dire in giro di aver fatto un French 75 con un Veuve Clicquot anziché un Piper Heidsieck e sentirete le pernacchie, soprattutto da chi non ne ha mai preparato o anche solo bevuto uno).
Insomma, è piuttosto chiaro come mai il sistema Prosecco dòmini incontrastato la scena italiana ed estera delle bollicine. E molto sinceramente, per quanto chiediamo sempre a gran voce che non si lesini sulla qualità delle uve e dei conseguenti vini posti sugli scaffali, non ce la sentiamo affatto di biasimarlo. È questa forse un’elegia del Prosecco? Assolutamente no: è un tentativo di analisi critica del perché, a latere di tutte le enofigaggini snob dei cosiddetti ‘conoscitori e amanti del buon vino’ (che, giova ricordare, rappresentano un’insulsa minoranza dei consumatori di vino), esso sia sia in termini di volumi lo spumante più diffuso in Italia e, probabilmente, nel mondo.

