Vini frizzanti: sulla rifermentazione in bottiglia (che non vuol dire “naturale”)

Di cosa parliamo quando diciamo "rifermentazione in bottiglia", il vino frizzante che ora ci piace tanto, considerato da molti, per sbaglio, sottoinsieme del vino naturale.

Vini frizzanti: sulla rifermentazione in bottiglia (che non vuol dire “naturale”)

Si fanno sempre più spazio, tra i vini frizzanti, le rifermentazioni in bottiglia, spesso erroneamente associate ai “vini naturali“. Facciamo chiarezza. 

Il Ripa di Sopravento è uno dei vini dell’iconico Vittorio Graziano, vignaiolo a Castelvetro, nel modenese. Un bianco frizzante che ogni anno è pazzesco, ennesima dimostrazione non solo del suo talento ma anche di un’esperienza che dopo quasi 40 vendemmie riesce a valorizzare come pochi altri le varietà che lavora e il territorio in cui sono coltivate in un unicum di particolare efficacia. Come se quel particolare vino frizzante, lasciato rifermentare in bottiglia come vuole la tradizione, avesse la capacità di superare moltissimi altri vini della stessa tipologia: in grado di appagare in termini di freschezza e al tempo stesso di andare in profondità senza mai apparire greve, tutt’altro. Un vero e proprio campione (per non citare il suo Lambrusco Grasparossa, il Fontana dei Boschi).

Se penso a quelle che sono le aree strettamente legate a questa tipologia produttiva mi è difficile andare oltre le pochissime più importanti, dalle colline del Prosecco e più in generale la Marca Trevigiana all’Emilia. L’Oltrepò Pavese? Sì, ma in modo decisamente più laterale. Nelle altre regioni? In modo episodico, specie se penso al decennio scorso, prima che quella dei vini frizzanti a rifermentazione in bottiglia diventasse la moda del momento, tipologia da rincorrere anche per affermarsi all’interno dell’ampio “giro” dei vini naturali.

prosecco costadilà

Di cosa parliamo, quindi. La pratica della rifermentazione in bottiglia è vecchia quanto le bottiglie in grado di sostenerne la pressione, o quasi. Impossibile sapere come siano nati: probabile siano il frutto di un incidente della storia: vini imbottigliati con ancora un certo residuo zuccherino che, con l’arrivo dei primi caldi primaverili, hanno rifermentato. Stabilire come e perché questa sia diventata una pratica ripetuta nei decenni, per non dire nei secoli, solo in determinate aree è altrettanto impervio.

È però probabile c’entrino fattori agricoli prima ancora che sociali: dove il vino non era il primo pensiero del fattore poter vendemmiare tardi, dopo per esempio aver pensato alla raccolta del grano per sostentare il bestiame, era elemento centrale. Ecco quindi che riuscire a portare i vini “a secco” diventava cosa non banale, specie nel Nord Italia, specie quando le fermentazioni in botte si protraevano durante il mese di novembre.

PROSECCO, CA' DEI ZAGO

Oggi i vini frizzanti a fermentazione in bottiglia, “sur lie“, “col fondo” o “pét-nat”, per citare alcuni dei loro soprannomi più diffusi, si producono in vari modi, quasi sempre però senza aggiungere lieviti o zucchero (almeno sulla carta) ma utilizzando solamente mosto, magari refrigerato, o vino in fermentazione. Oppure, come appunto da tradizione di alcuni luoghi, imbottigliando il vino dopo che la sua fermentazione si è interrotta a causa dell’inverno. Vini che inevitabilmente la riprenderanno dopo l’inverno, perfetti per essere aperti con l’arrivo dell’estate. Una sorta di birra saison del vino? Perché no.

Negli ultimi anni questa pratica così semplice da realizzare è stata subito identificata, a torto, con il crescente movimento dei vini naturali, portando al suo abuso. Moltissime le cantine che da un giorno all’altro, pur citando una tradizione familiare tutta da dimostrare, si sono messe a produrre vini frizzanti. In ogni regione e soprattutto da ogni varietà, come se qualsiasi vitigno si prestasse in automatico a venire declinato in questo modo. Non è così.

Certo è che il consumatore ha quasi da subito identificato questa tipologia di vini come:

  • Tradizionale, che si rifà a un’idea romantica del passato;
  • Naturale, proprio perché prodotta in modo semplice, all’apparenza “autentico” anche grazie alla presenza del “fondo”, caratteristica che li rende spesso leggermente opachi, specie verso la fine della bottiglia;
  • Semplice da bere anche grazie a un calore alcolico di rado superiore ai 12,5 gradi alcolici;
  • Divertente, specie per quei sentori che richiamano la fermentazione, così diversi da quelli degli altri vini dallo stesso prezzo;
  • Poco costosa.

Il problema è che se da una parte il mercato ha recepito con straordinario entusiasmo queste etichette dall’altra riuscire a trovare oggi vini rifermentazione in bottiglia di qualità non è più facile di prima, o quasi. All’aumento dell’offerta non è automaticamente corrisposto un aumento della qualità media. La rincorsa alla produzione di vini un po’ “funky”, bianchi, rosati e rossi in ogni angolo d’Italia, ha portato a rifermentare quello che si aveva “in casa”, quando invece nelle zone sopracitate la produzione di vini frizzanti ha radici profonde. Non solo nel loro consumo ma anche nella loro genesi, dalla selezione delle piante più adatte al tipo di potatura, dal periodo di vendemmia (non necessariamente così anticipato) alla metodologia produttiva.

Per fortuna i nomi storici: costanti garanzie di qualità e di successivo appagamento dei sensi. Perché sì, l’avevo già scritto che quando un vino frizzante è davvero buono è tra le bevande più goduriose ci siano in circolazione?

Bonus: proprio qualche giorno fa è uscita una puntata di Vino sul Divano, il mio podcast, registrata insieme a Vittorio Graziano.