Il Buonappetito: Ave Cesare

Una cucina da provare quella di Cesare Giaccone, cuoco settantenne in Albaretto della Torre, provincia di Cuneo. In particolare il capretto alla brace, universalmente riconosciuto il migliore del mondo

Il Buonappetito: Ave Cesare

C’è un libro che viene considerato tra i più importanti, belli, divertenti mai scritti sul cibo: si chiama The Man Who Ate Everything e l’ha scritto Jeffrey Steingarten (uscirà a breve in Italia, finalmente, per i tipi di EDT).

Steingarten –per decenni il critico più amato (e anche temuto) degli Stati Uniti– ha raccolto i suoi reportage scritti per Vogue, raccontando il cosiddetto food in ogni capo del mondo, dai ristoranti siderali dell’Upper East Side alla cucina rituale dei villaggi più sperduti del pianeta.

All’Italia dedica diversi capitoli. Uno di questi si intitola “Ave Cesare” e racconta di uno dei pasti più gratificanti della sua vita e “del boccone di carne migliore che abbia mai mangiato”.

Il Cesare del titolo è Cesare Giaccone, cuoco in Albaretto della Torre, provincia di Cuneo, e io ci sono andato a mangiare ieri.

Giaccone oggi ha settant’anni, apre il proprio ristorante solo per pochi affezionati clienti, non ha perso il temperamento sanguigno che l’ha reso celebre ma è più domo di quando, quarantenne, beveva quattro bottiglie di vino al giorno: una bolla la mattina, un dolcetto a pranzo, un lambrusco a merenda, un barbaresco a cena.

La testa di Cesare è calda ma le mani sono leggere come libellule: la pasta dei suoi agnolotti è così sottile che ci si potrebbe leggere una lettera d’amore attraverso, il suo capretto alla brace è universalmente riconosciuto come il migliore del pianeta (è quello che mangiò Steingarten).

Ma la cosa che adoro di Cesare è che esercita il proprio spirito profondamente anarchico anche sulle guide: parlare coi critici gli piace, ma odia la dittatura dei consigli. Giovane e ribelle, affisse sulla porta del suo locale un cartello con scritto “se siete venuti qui solo per la Michelin o la Veronelli tornate pure a casa”.

In tempi di food-porn, di feticismi e di collezionismo gastronomico il suo è un messaggio liberatorio: i cuochi cucinino ciò che gli piace e li emoziona; i clienti vadano dove stanno bene mangiando cose buone.

Le classifiche, comprese le nostre, servono soprattutto a fare click.