Brodo giapponese: come si fa e come si usa il dashi

Come preparare il dashi, il brodo giapponese tanto delicato quanto versatile, base di zuppe e piatti iconici. Dalla tecnica di base alle varianti creative, tutto quello che vi serve sapere.

Brodo giapponese: come si fa e come si usa il dashi

Ormai lo sai: la cucina nipponica non è fatta solo di sushi e sashimi, ma anche di piatti cucinati, dalle carni alle zuppe. Elemento irrinunciabile di queste ultime, come della maggior parte delle salse, è il dashi, il brodo giapponese, leggero e pallido, ben diverso dai ricchi brodi di manzo, gallina o cappone cui siamo abituati.

Ha gusto insospettabile, delicato e insieme persistente, aroma suadente ma sempre discreto. Merito degli ingredienti: pochi, anzi, pochissimi ma buoni. E della tecnica di preparazione: gentile ma in grado di estrarre quel buono.

Gli ingredienti

Come già per il post sull’alga kombu, per non sbagliare ho chiesto la consulenza di chi ne sa, Maiko Takashima, ideatrice dello store online Gourmet Giappone specializzato in prodotti dal Sol Levante.

«Il dashi è la base di tutti i piatti giapponesi. E si fa con tre ingredienti: kombu, katsuoboshi e funghi shiitake, tutti ricchi di gusto umami».

Dei tre, il più curioso per noi occidentali è senza dubbio il katsuoboshi che probabilmente hai incrociato in qualche ristorante jap, ma anche in qualcuno di fine dining, apprezzato per l’aspetto e per il sapore.

Si tratta di scaglie sottilissime, quasi trasparenti, di tonnetto bonito essiccato e affumicato. Questa sorta di fiocchi sono spesso usati come guarnizione di piatti serviti caldi perché, proprio grazie ai vapori che salgono dalle pietanze, si “agitano” graziosamente creando un originale “effetto vivo”.

Come si prepara

 

La prima fase di preparazione del brodo dashi prevede un’infusione a freddo di alga kombu, circa 10 cm per litro d’acqua, per 6-7 ore in frigorifero. Maiko consiglia di usare un’acqua minerale naturale per bambini.

Trascorso il riposo, l’infusione si porta a bollore su fuoco dolcissimo. Appena prima che inizino a formarsi grosse bolle, l’alga si elimina. Il risultato, se ci si ferma qui, è un brodo chiarissimo, dal sentore molto tenue. Che si va ad arricchire con la fase successiva.

«Tolta la kombu, si aggiunge nella pentola una manciata abbondante di katsuoboshi. Si lascia cuocere per 2-3 minuti, quindi si spegne e si filtra», spiega Maiko.

È questa la versione più comunemente usata in tutte le famiglie, come nelle cucine professionali. Il brodo assume un aspetto più dorato, quasi opalescente, che sprigiona un aroma marino e fumé, sempre molto garbato.

La fase tre è quella degli shiitake. «Dei funghi si usa l’acqua, sempre fredda, in cui sono stati lasciati ammollo dalle 2 alle 5 ore e che si versa nel dashi una volta filtrata».

Il liquido è molto scuro e quindi non adatto alle preparazioni che richiedono un brodo limpido. Ma si usa abitualmente, per esempio, per molte salse e per udon e soba, i tipici noodles giapponesi, che prevedono anche l’impiego di salsa di soia, scura anch’essa.

Un sapore dopo l’altro

Brodo Dashi

Ora proviamo a vedere cosa succede al gusto del brodo, ingrediente dopo ingrediente.

Il semplice dashi di kombu è, come detto, delicatissimo. Eppure, si percepisce già l’umami, quel sapore letteralmente ineffabile, che non è sapido ma attiva le papille, vagamente dolce ma del tutto privo di note zuccherine.

Forse indefinibile, per il palato di molti di noi (e per le mie parole, sic!), ma tipico delle cucine asiatiche e dovuto alla presenza di glutammato.

Il katsuoboshi aggiunge salinità pur non avendo sale, se non quello naturalmente presente nelle carni del tonno, e aroma affumicato. È forse il gusto più particolare dei tre, e il più caratterizzante. Fermo restando che, anche con questo elemento, il dashi resta un brodo fine e leggero.

Gli shiitake, infine, hanno sentori di sottobosco ben definiti, sebbene ingentiliti dall’utilizzo della sola acqua di ammollo. E sono, come gli altri comprimari, anch’essi ricchi di quell’umami che, all’assaggio del fungo vero e proprio, ricorda la carne.

Una tecnica peculiare

La differenza principale tra il dashi e i brodi “de noantri” è sostanziale: da una parte, lente infusioni a freddo e rapidissime cotture a calore lieve; dall’altra, bolliture prolungate.

Si tratta di una tecnica dolce e rispettosa che permette di estrarre le sostanze umami da kombu, katsuoboshi e shiitake, che ne sono già in partenza dei concentrati.

Il dashi è così fra gli elementi imprescindibili della cucina tradizionale giapponese, la washoku, così come di quella vegana che si rifà alla pratica buddista.

«La cucina shojin ryori dei monaci utilizza solo alghe e soprattutto funghi, essendo i monasteri situati in zone di montagna con boschi che ne sono ricchi», nota Maiko. I funghi, poi, rientrano nelle preparazioni come fonte di proteine insieme, per esempio, al tofu.

Dove usare il dashi

Ramen

L’impiego più immediato è, naturalmente, per i piatti in brodo a cominciare dalla classica zuppa di miso. È dashi la base della fonduta giapponese, affine all’hot pot cinese, in cui immergere pezzetti di carne o pesce. Un filo di brodo si usa anche per sfumare le verdure saltate o trifolate e per stemperare gli ingredienti delle salse che accompagnano le diverse pietanze.

Insomma: così come in una cucina italiana non dovrebbe mai mancare un buon brodo casalingo, sia esso vegetale o di carne, in una giapponese non si può prescindere dal dashi, preparato per tradizione da un dì con l’altro (sebbene in frigo si mantenga bene almeno per 2-3 giorni).

Se, tuttavia, non hai a disposizione i tempi dilatati e la pazienza di una massaia giapponese o di un monaco zen, ti viene in aiuto l’industria del Sol Levante che propone il brodo pronto concentrato in bottiglia o le bustine, simili a filtri di tè, che contengono il giusto mix di alghe, funghi, pesci (oltre al tonno, altre varietà come sgombri e sardine) e aromi da disciogliere velocemente in acqua bollente. Soluzioni facilmente reperibili nei negozi specializzati e in rete.

Varianti da chef

Il dashi, si diceva, può essere la base di ricette più elaborate, sebbene sempre velocissime, come si è capito essere lo stile giapponese.

Te ne propongo due imparate, durante una lezione di qualche anno fa, da Kunio Tokuoka, chef del ristorante Kitcho di Kyoto.

La prima è una minestra al pollo. Cospargi di sale 5-6 alette, massaggiale vigorosamente e sciacquale sotto l’acqua ben calda. Mettile in una casseruola, versa il dashi (circa un litro), porta a bollore lentamente, lascia sobbollire ancora una ventina di minuti, filtra e servi.

Seconda proposta, una zuppetta di vitello. Rosola pochissimi minuti a fuoco vivace in una padella un etto di carpaccio, tagliato a striscioline, con un filo di olio di semi, sale e pepe. Dividi il vitello nelle ciotole individuali e versa in padella un mestolino di brodo, raschiando bene per raccogliere tutti gli umori della carne. Trasferisci questo fondo nelle ciotoline e colma con il resto del dashi caldo (sempre circa un litro in tutto).

Puoi gustare queste preparazioni al naturale, cuocervi noodles e verdurine, guarnirle con julienne di kombu e shiitake saltati, entrambi avanzati dalla preparazione del dashi.

E, perché no, sperimentare declinazioni e contaminazioni creative: pastina, quadrucci, ravioli di pesce, stracciatella, zuppa pavese, brodetti con frutti di mare o crostacei… Italo-fusion, in salsa jap.