Tra i mosti cotti della tradizione italiana, come la “saba” o “sapa” prodotta dall’Emilia in giù a partire da uva o fichi, l’Abbamele sardo è sicuramente quello più antico e affascinante. La sua storia si perde nei millenni, e per ripercorrerla dobbiamo andare indietro nel tempo almeno fino all’epoca nuragica quando, prima dell’introduzione delle arnie in sughero (su casiddu) e di qualsiasi soluzione moderna per l’allevamento delle api, il miele poteva essere ottenuto solo dalla ricerca di sciami selvatici.
Primo dolcificante consumato nella storia dell’umanità e prima fonte di ebbrezza, fermentato in alcool in un primordiale idromele, il miele era preziosissimo: dalla necessità di non perderne nemmeno una goccia, è derivata la tecnica da cui si è poi ottenuto l’Abbamele o abbattu, s’acuamebi o saba ‘e meli… molti nomi che esprimono lo stesso concetto: “saba di miele” o “acqua e miele”. Un prodotto dalla storia antichissima e radicata nella tradizione sarda, che per questo è entrato nel patrimonio dei PAT, Prodotti Agroalimentari Tradizionali, nel 2010.
Come si fa l’Abbamele
Abbiamo chiesto qualche segreto sulla produzione a Anna Maria Cabiddu, produttrice di miele sul lago di Mulargia (la sua azienda si chiama Cuore di Mulargia). Per prima cosa bisogna recuperare dal favo fino all’ultima goccia di miele, in genere se ne ottiene un ulteriore 20%, ricco di polline e propoli, e separarlo dai rimasugli di cera. Per farlo i pezzi di favo tagliati si immergono in acqua intorno ai 50°C, facendo sciogliere la cera che potrà quindi essere rimossa, e quello che rimane è acqua -”abba” in dialetto sardo- e miele: “abbamele”, per l’appunto.

La seguente bollitura di ore ed ore farà evaporare l’acqua in eccesso e, come per tutti i mosti cotti, servirà a concentrare il sapore e caramellizzare gli zuccheri, dando al prodotto finale il classico gusto caramellato dal leggero aroma tostato.
Qui entra in gioco la fantasia del produttore che da la propria firma con l’aromatizzazione dell’Abbamele: scorze d’arancia, di limone, mela cotogna o un mix di questi sono gli ingredienti più classici e diffusi, aggiunti rigorosamente a non più di mezz’ora dalla fine della bollitura, per mantenerne intatti gli aromi.
Come si mangia l’Abbamele

Per millenni cibo dei meno abbienti, oggi dell’Abbamele si possono apprezzare le grandi potenzialità gastronomiche. Profondo e complesso, dai molteplici toni dolci in equilibrio da un elegante nota amara, è difficile trovare un abbinamento che non funzioni. Tanto a suo agio nei dolci così come nei piatti salati, è perfetto con formaggi freschi e stagionati, sparso su gelati e seadas, con carne di maiale e con i salumi tipici della Sardegna.
Per farci dare un consiglio più creativo abbiamo chiesto a Maurizio Falchi, chef del ristorante Ros’e mari che ha portato la sua esperienza stellata e internazionale a Donigala Fenughedu, in provincia di Oristano. “Noi la abbiniamo a un gelato di ricotta di pecora su un carpaccio di pecora molto delicato, con una cipolla marinata e pomodori secchi, e la sapa va a completare il piatto dando rotondità e sgrassando il tutto. Con il mio sous chef cerchiamo sempre di spaziare nell’utilizzarla, e cerchiamo di educare il cliente a conoscerla, e noi stessi la stiamo riscoprendo”.