Granchio blu, il predatore alieno della laguna di Venezia sulle tavole degli stellati

Il granchio blu è un predatore alloctono per la laguna di Venezia, oggi (di necessità virtù) protagonista di progetti ittici e piatti del fine dining.

Granchio blu, il predatore alieno della laguna di Venezia sulle tavole degli stellati

Al mercato del pesce di Rialto, al banco di Paolo Zane – che fornisce molti ristoranti fine dining e stellati della città – il granchio blu si vende a circa 12 euro al kg. “Anni fa”, spiegano, “quando era praticamente sconosciuto e poco presente in laguna, il prezzo si aggirava intorno ai 3 o 4 euro: lo mangiavano soprattutto gli asiatici, perché lo conoscevano già. Adesso è molto richiesto: negli ultimi 5 o 6 anni la sua presenza in laguna è diventata più frequente. Il sapore assomiglia a quello dolce della granseola e i clienti cominciano ad apprezzarlo: alcuni ristoratori che riforniamo lo tengono in carta e il riscontro è buono”.

Venezia e la laguna si sono aggiunte da qualche tempo all’elenco dei luoghi di avvistamento e cattura del Callinectes sapidus, questo il nome corretto della specie: una facile ricerca in rete restituisce una fotografia attendibile della popolazione del crostaceo in Italia, segnalando una presenza diffusa, dalla laguna appunto al Delta del Po, fino ai laghi interni della Puglia, abbracciando l’intero Adriatico e arrivando a Ionio e Tirreno, dalla Calabria alla Sicilia, fino al Cilento e ai Campi Flegrei, e anche al litorale laziale.

Come il granchio blu è diventato il predatore della laguna di Venezia

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Originario della costa orientale degli Stati Uniti, in particolare degli stati di Louisiana, Maryland, North Carolina e New Jersey, ma diffuso fino al Golfo del Messico e Argentina, il granchio blu è arrivato prima nel Mediterraneo (in Tunisia ed Algeria è ormai specie dominante), estendendosi poi a Egeo (in Grecia, dove i primi avvistamenti risalgono al 1947, e Turchia è letteralmente esploso, soppiantando di fatto le altre specie e approfittando di condizioni climatiche favorevoli) ed infine Adriatico. L’ipotesi è che sia giunto attraverso le acque di zavorra delle navi provenienti dalle aree di origine, quelle cioè che servono a stabilizzare la nave in navigazione e durante le operazioni di carico e scarico delle merci.

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Le acque vengono prelevate generalmente sotto costa o nel porto e, una volta che la nave arriva a destinazione, vengono scaricate. Giusto per avere un’idea, si stima che, globalmente, le navi trasferiscano 3-5 miliardi di tonnellate di acque di zavorra all’anno e che nei serbatoi di zavorra delle navi di tutto il mondo possano essere presenti fino a 7.000 specie acquatiche diverse. Ad oggi, il Mar Mediterraneo è uno di quelli più invasi del mondo, sia in termini di numero di specie che di velocità d’invasione.

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Grazie a notevoli capacità predatorie, alla capacità di sopportare elevate escursioni termiche e all’alto potenziale riproduttivo, combinate ad ambiente adatto e temperature miti, il granchio blu si è poi rapidamente diffuso. In Italia la prima osservazione è nel 1949, a Grado. Non è un caso che siano le zone costiere quelle con maggiore presenza: il granchio blu è infatti una specie che vive in acque costiere, lagune ed estuari, privilegiando fondali sabbiosi o fangosi.

Come ci spiega il professor Piero Franzoi, del Dipartimento di Scienze Ambientali dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, “ama le zone salate e durante il ciclo riproduttivo compie migrazioni tra le parti interne e quelle esterne degli estuari: dopo l’accoppiamento, che avviene all’interno degli estuari, le femmine si spostano verso l’esterno, alla ricerca di acque più salate.

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Nella zone del Delta del Po e a Caorle le condizioni sono molto favorevoli e se in passato le catture avvenivano saltuariamente e più verso il mare, ora invece sono più frequenti e più interne”. La conferma arriva dai pescatori, che trovano il granchio blu nelle reti, anche in quelle fisse, e per i quali la presenza del crostaceo sta cominciando a diventare un problema, sia per i danni causati alle reti, sia per il comportamento predatorio verso le altre specie: onnivoro e vorace, si nutre di molluschi bivalvi (ostriche, vongole, mitili), gasteropodi e piccoli pesci. In alcune aree la sua attività predatoria ha causato il declino delle popolazioni di molluschi presenti: è il caso del litorale romano dove l’impatto sulla pesca delle telline è stato significativo. Nel caso della laguna di Venezia, nello specifico, le ricadute sulla pesa di go e moeche, due delle varietà più rappresentative e identitarie, sia dal punto di vista ambientale che gastronomico, potrebbero determinarne la progressiva scomparsa.

A vederlo dal vivo nel banco di Rialto, a colpire, oltre alla colorazione blu-verde delle chele (negli esemplari maschi), sono le dimensioni. Il carapace può superare i 23 cm di larghezza nei maschi e 20 cm nelle femmine, per una lunghezza di 9 cm, ed è dotato di due dentelli frontali triangolari e nove dentelli laterali, molto lunghi e appuntiti. Le zampe sono piuttosto allungate e le chele, più grandi nei maschi che nelle femmine, hanno tre spine robuste.

Granchio blu: di necessità virtù

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Per porre un freno alla sua proliferazione e cercando di trarre vantaggio dalla sua commercializzazione, si sono sviluppate imprese e progetti: è il caso di Mariscadoras srl, una start-up di Rimini specializzata nello sviluppo di progetti sostenibili dal punto di vista ambientale ed etico, che ha avviato una collaborazione con Tagliapietra e figli, azienda veneziana che da oltre mezzo secolo si occupa di vendita e lavorazione di prodotti ittici. L’obiettivo è quello di avviare una pesca sistematica del prodotto a fini commerciali, unendo tutela dell’ambiente con riscontro economico. Altro esempio è il progetto avviato da Francesco Tiralongo, docente e ricercatore dell’Università di Catania in collaborazione con l’azienda ittica e di trasformazione “Campisi” di Marzamemi.

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Con l’obiettivo di arrivare ad un monitoraggio scientifico della specie, ad oggi ancora mancante, la Regione Veneto ha approvato un accordo di collaborazione con Università Ca’ Foscari e la Fondazione per la Pesca di Chioggia: lo scopo è quello di verificare la distribuzione, l’abbondanza e l’impatto del granchio blu sulla pesca tradizionale e verificare se, in base ad una presenza potenzialmente invasiva – e negativa per le altre specie – in laguna, il callinectes rapidus possa essere oggetto di pesca sistematica a fini commerciali. “Si tratta di capire – spiega Franzoi – se, in prospettiva, la pesca del granchio possa diventare una risorsa economica riuscendo contemporaneamente a contenere il numero di esemplari la cui proliferazione potrebbe avere effetti negativi sull’ecosistema lagunare. Sappiamo già che è una specie che è avvantaggiata dall’innalzamento delle temperature delle acque, dato che è ormai evidente. In generale, le specie alloctone da sole non sempre costituiscono un problema, ma se ci sono condizioni favorevoli la loro espansione viene amplificata”.

Grazie a campionamenti mensili e all’utilizzo di sistemi di pesca selettivi (reti fisse) si capirà quindi non solo la distribuzione della popolazione di granchi ma anche quali siano i sistemi migliori per una loro cattura. Con scopi commerciali, s’è detto, perché il granchio è dal punto di vista gastronomico, decisamente apprezzato.

In carta, a Venezia, l’hanno proposto Donato Ascani del Glam, 2 stelle Michelin, Chiara Pavan, di Venissa, 1 stella e Salvatore Sodano, del Local, 1 stella.

Fuori dai contesti di fine dining, è bene munirsi di pazienza: si consuma bollito o cotto a vapore, ma la cura è particolarmente laboriosa. I tempi per ricavarne la polpa sono di circa 15-20 minuti. Un’alternativa, come spiega il professor Franzoi, potrebbe essere quella di consumarlo in fase di muta, quando le carni sono più morbide e il carapace non è ancora formato. Se in Usa del “soft crab”, com’è chiamato il granchio in questa fase, si fanno hamburger, in laguna potrebbe essere consumato esattamente come le moeche: fritto dopo essere stato immerso nella pastella.

Dalla laguna al Lago di Garda

Dreissena-polymorpha-e-bugensis.-Credist-Fondazione-Edmund-Mach

Quella del granchio blu è solo l’ultima in ordine di tempo tra le specie alloctone a rapida diffusione: tra i più illustri rappresentanti della categoria impossibile non citare il pesce siluro, il pesce gatto e il gambero rosso della Louisiana. Se il Regolamento Europeo n. 1143-2014 mira a prevenire l’impatto delle specie invasive in ambiente marino, anche laghi e fiumi non se la passano meglio. Secondo il WWF il 62% dei pesci presenti nei nostri fiumi e laghi è rappresentato da specie alloctone e su 152 specie attualmente censite solo il 38% sono autoctone. Di queste, la metà è ad elevato rischio estinzione. Uno sguardo a quanto sta accadendo nel Lago di Garda è esemplificativo.

L’ultima specie “aliena” censita nel bacino lacustre, la 43esima per la precisione – tra piante, molluschi e pesci – è la cozza del Dnepr, la Dreissena bugensis, una sorta di cozza di acqua dolce molto invasiva e capace di soppiantare non solo le specie autoctone ma anche quelle aliene già insediate.

“E’ arrivata attaccandosi agli scafi dei natanti provenienti dai laghi tedeschi e svizzeri. L’aumento del turismo lacustre combinato alla mancanza di una corretta pulizia e sanificazione delle imbarcazioni (carene e motori) l’ha fatta proliferare – spiega Filippo Gavazzoni, vicepresidente della Comunità del Garda – Di fatto stiamo assistendo a quanto è già accaduto a fine anni ’60 con la Dreissena polymorpha, arrivata con i turisti tedeschi, che ha colonizzato l’intero fondale. Nel lago di Lugano, la cozza del Dnepr, più aggressiva, ha prevalso sulle specie già esistenti, comprese quelle aliene. Nel Garda, in assenza di misure di pulizia, potrebbe accadere lo stesso nel giro di pochi anni. Di fatto, questo mollusco è incontenibile: una volta entrato non si eradica perché diversamente da quanto avviene in mare aperto, i laghi sono spazi più raccolti e chiusi.

Come già accaduto, ad esempio, per il gamberetto killer, il Dikerogammarus villosus, temibile predatore per le uova dei pesci, le specie aliene una volta fatto il loro ingresso non sono eliminabili in alcun modo. L’unica strategia attuabile, per evitare che ulteriori esemplari alieni entrino nel Lago, è quella di prevedere una norma per la sanificazione degli scafi, che sono stati accertati essere l’unico vettore di contaminazione”. Nel 2019 è stato siglato alla Comunità del Garda un “Contratto di Lago” con questo obiettivo. Il passo successivo, e di maggiore efficacia, è quello di approvare una legge per sanificare le imbarcazioni in arrivo. “Si tratta di una legge interregionale – spiega Gavazzoni – poiché le competenze sul Lago sono di Lombardia, Veneto e Provincia autonoma di Trento. Il Veneto, prima regione in Italia peraltro, ha già recepito la proposta, qualche mese fa. Ora spetta a Lombardia e Trentino fare altrettanto affinché si arrivi all’approvazione in tempi brevi. Il Lago di Garda è la riserva idropotabile più grande d’Italia: la tutela del corpo idrico è cruciale”, conclude Gavazzoni.