“Il kebab farà parte del Patrimonio della cucina italiana”: ha ragione Antonio Caprarica

La provocazione di Antonio Caprarica ci trasporta tutti nel peggior incubo gastronomico di Giorgia Meloni e Francesco Lollobrigida. Ma ha le sue basi.

“Il kebab farà parte del Patrimonio della cucina italiana”: ha ragione Antonio Caprarica

La prima a parlare di kebab in relazione al riconoscimento della Cucina Italiana come Patrimonio immateriale dell’Umanità UNESCO è stata nientemeno che Giorgia Meloni. Probabilmente non serve fare un passo indietro, visto che anche i muri ormai sanno del successo internazionale della nostra cultura culinaria. E quando diciamo “i muri” intendiamo letteralmente, visto che per celebrare l’avvenimento pure le mura del più grande anfiteatro romano del mondo sono state illuminate con un’italica bandiera tricolore, in una gigantesca celebrazione dell’orgoglio nazionale.

Fu allora che il Presidente del Consiglio Meloni parlò dello street food mediorientale per eccellenza (a sua volta frutto di discussioni nazionaliste, guarda un po’), il kebab. Piatto dalla grande storia e tradizione (penserete mica che ce l’abbiamo solo noi, la storia del cibo) da noi colpevolmente ridotto a spuntino da fame chimica del post-seratona. “A sinistra non sono riusciti a gioire sul riconoscimento alla cucina italiana come patrimonio dell’Unesco”, ha detto a gran voce Meloni. “Hanno rosicato talmente tanto che è una settimana che mangiano dal kebabaro”.

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Come in una guerra ideale tra pastasciutta al pomodoro e kebab senza cipolla e senza piccante, Meloni ha dimostrato – perfino lei, che pure nel discorso iniziale mandato in video a Nuova Delhi non aveva sbagliato un colpo – di non aver davvero capito (colpevolmente, o strumentalmente) cosa abbia visto l’UNESCO nel patrimonio della cucina italiana.

Il Kebab nella cucina italiana: un futuro possibile?

colosseo illuminato per la cucina italiana patrimonio dell'umanità

Perché la verità è che ciò che ha riconosciuto l’UNESCO alla nostra cucina è proprio la sua capacità – possibile e potenziale – di far entrare, un domani, il kebab nella nostra tradizione. Alla faccia della sinistra che se ne è cibata in tutte queste settimane.

Lo ha detto Antonio Caprarica, storico corrispondente RAI da Londra, intervenendo ospite da David Parenzo a L’Aria che Tira su La7. E, pur essendo una provocazione, aveva ragione lui. “La cucina italiana è il trionfo di quello che siamo noi, un luogo di contaminazioni e di apertura”, ha spiegato. “Che piaccia o no alla Meloni, anche il kebab entrerà a far parte della cucina italiana“.

Perché alla fine, quello che l’UNESCO riconosce alla cucina italiana (oltre a essere sostenibile e biodiversa per natura) è proprio la sua capacità di essere inclusiva, naturalmente ibrida, aperta e socialmente utile. E il paradosso è che è un po’ quello che diceva Alberto Grandi, colui che ha fatto fortuna sostenendo che “La Cucina Italiana non esiste“.

Antonino Cannavacciuolo come Alberto Grandi: “La cucina italiana non esiste” Antonino Cannavacciuolo come Alberto Grandi: “La cucina italiana non esiste”

La cucina italiana ha importato il pomodoro dall’America così come potrebbe domani inglobare, all’interno della sua cultura, il kebab, o qualsiasi altro elemento straniero facendolo proprio. Ed è proprio quello che dice l’UNESCO, quando parla di “un’identità socio-culturale condivisa e allo stesso tempo cronologicamente e geograficamente variegata” costruita dai nostri saperi non solo culinari, ma anche conviviali e sociali, che sono portatori “di valori di inclusività” e contribuiscono “a creare una comunità aperta verso l’altro”.

“Si tratta di una vera e propria pratica artigianale che crea condivisione e comunità e che costituisce un ponte e uno strumento di dialogo tra la cultura italiana e quella di tanti altri Paesi, con cui da secoli intrattiene uno scambio continuo e fruttuoso”. Insomma, la cucina italiana è un Patrimonio proprio perché è il contrario di quello che vorrebbero sostenere Meloni e compagni, e cioè che sia profondamente e radiclamente italiana. Invece, è aperta, ibrida, piacevolmente e continuamente contaminata.

Magari, perché no, anche al kebab (senza cipolla, senza piccante, ma con mozzarella di bufala).