“Io ce l’ho profumato”. Il lievito madre intendo

Va di moda, i veri cuochetti in erba ce l’hanno, quelli presunti tali hanno provato a mantenerlo in vita senza successo, i fissati si portano dietro il vasetto di vetro trasparente anche in ufficio (mica può essere in un contenitore X che non ti permette di controllarne la crescita), Oliviero Toscani non ne può fare a meno, la mamma di Benigni ne ha aveva uno che non te lo voglio manco dire. Che cos’è? Fate una X vicino alla risposta giusta.

Il Tamagotchi
La lampada di Aladino
Un cane di razza
Il lievito madre

Ne abbiamo già parlato tante volte, soprattutto in riferimento al nostro Michelangelo della pizza, messere Bonci, ma questa volta mi appello a voi, fanatici della cucina, padroni della materia, esperti conoscitori di farine, come devo fare se la creatura si trasforma in un essere vivente e okkupa il frigo (ci dorme anche di notte con il sacco a pelo)?

Vado a Identità Golose 2012, la gentile signora del Molino Quaglia mi regala un bel pezzetone di lievito madre, mi sorride e allegra mi dice “ha 65 anni”.

65 anni? Quanti?!? Eh sì, perché il segreto è tutto lì, è un’estensione del tipico “io ce l’ho più grande”, ma riversato su un più adeguato “io ce l’ho più vecchio” o “io ce l’ho profumato” (che era da tanto che non si sentiva).

E così entrando quasi per sbaglio, ma curiosissima, in questo mondo, che mi viene di chiamare loggia, setta, circuito di tecnici della materia lievitante, circolo di conoscitori, ho sentito storie meravigliose, che ovviamente anche voi umani avrete udito: pasta madre ereditata dalla nonna come simbolo e passaggio del testimone gastronomico, pasta madre di un soldato vissuto nel 1850, pasta madre nobile o contadina, acida, poco rinfrescata, trattata bene, esordiente, fatta da me l’altro ieri, portata in Costa Smeralda nel 1998, maggiorenne, rediviva, dell’amico di un amico di un importante chef.

Faccio subito il parallelo con una cicatrice: ci puoi raccontare un’infinità di storie. Tutte bellissime, tutte dense di significato e importanti, tutte dentro un’unica storia, quella dei batteri che abitano quel pezzettino innocente di lievito naturale.

È affascinante, idilliaco, ma più di tutto l’occhio della signora che dice “ha 65 anni” ti impedisce di fare l’indifferente, ti vieta di dimenticarti il tuo pezzettino. Perché lì ci sono passate tante mani e tanta cura.

Dunque se per ipotesi il mio pezzettino è stato utilizzato o rinfrescato (senza troppa assiduità) una volta a settimana, vuol dire che in 65 anni sarà stato ravvivato 3.380 volte circa. E io non lo voglio custodire con la stessa cura e impeccabile amore?

È così che è iniziata la mia avventura. Non voglio fare la tecnica su come si conserva il lievito naturale e come si rinfresca, sul web ci sono fior fior di metodi di gente che ha studiato molto più di me. Io personalmente utilizzo il metodo più classico. Prendo il mio panettino di pasta madre, che conservo in frigo, lo rinfresco con la stessa quantità di farina e mezza di acqua.

Poi via di nuovo nel suo barattolone. Quando lo utilizzo per me bene, quando non posso, lo regalo a qualche malcapitato che nel frattempo avrò convinto su quanto è meraviglioso il metodo, su come ti viene profumato il pane e quanto si conserva, su “tu non sai che pizza” e allego anche la ricetta del Bonci e così via.

Ora ho un bambino, sta lì nel frigo, cresce a vista d’occhio, profuma di buono, non me ne posso dimenticare, gli devo dedicare un’ora a settimana, a volte fa l’indisciplinato e cresce fino quasi ad esplodere dentro il barattolo. Lo curo e lo guardo come si guarda un piccolo tesoro.

Ma un dubbio mi attanaglia. Vacanze estive. O la più imminente settimana bianca. Che fare se non ci possiamo prendere cura del nostro lievito?

Anche qui, ho letto di tutto: essiccare, legare come un salamino dentro uno strofinaccio, congelare e, ebbene sì, portare in vacanza. Sì sì, in vacanza con il barattolino. Tutta la mia ammirazione a chi lo fa già o chi non si perde d’animo all’idea di doverlo fare.

Ma già che ci siamo m’è venuta un’idea. Non c’è una pensione per lievito madre, una lievito madre sitter, un resort (all inclusive due rinfreschi al giorno) per le nostre creature? Per evitare che vengano lasciate ammuffire in frigo o ancora portate inesorabilmente in vacanza?

E se c’è già o siete disposti a creare una rete di persone che si fa le vacanze alternate così ce lo teniamo gli uni con gli altri, scriveteci, che io il mio pezzettino ce lo porto. Giuro.