“La cucina italiana tra sostenibilità e biodiversità culturale” è appena ufficialmente diventata Patrimonio Immateriale dell’Umanità Unesco. Ad annunciarlo, a New Dehli, il Comitato Intergovernativo per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale (ICH) dell’UNESCO, che ha dato la buona notizia alla fitta delegazione italiana (capitanata dal Ministro degli Esteri Antonio Tajani e dalla direttrice de La Cucina Italiana, Maddalena Fossati, che fu la prima a credere e a volere questo riconoscimento), seduta composta dietro la cattedra con la scritta “Italy”, con nascosta dietro la schiena una bandiera tricolore da tirare fuori a decisione presa. Dall’Italia è arrivato anche un videomessaggio di Giorgia Meloni, che – a differenza di altri – ha dimostrato di aver ben compreso il senso di questa candidatura.
A diventare Patrimonio Unesco, oggi, non è una ricetta, e nemmeno una serie di ricette. Non è una tradizione, non è qualcosa che si tramanda di generazione in generazione. Non è il panettone, non è la lasagna, per quanto siano identitari della cucina italiana e delle tavole degli Italiani (soprattutto quelle natalizie, in effetti). Non sono i prodotti dei contadini, o la sapienza degli allevatori. A diventare Patrimonio Unesco, oggi, è un’intera cultura che ruota intorno al cibo come strumento di identificazione personale, sociale, familiare. Una cultura che caratterizza una popolazione che ha il DNA sporco di sugo, e che da sempre, prima dell’arrivo delle mode, ha la sostenibilità e la biodiversità come concetti connaturati.
La Dieta Mediterranea, quella che oggi invochiamo essendocela un po’ dimenticata, è fatta di una grande varietà di vegetali, perché quelli erano la risorsa principale e più straordinaria del nostro Paese. E nelle nostre case il cibo non si è mai buttato via, con le nostre nonne che – loro che arrivavano dalla guerra – avevano mille modi e idee per riciclare, ripensare, riproporre. La frittata di maccheroni, le polpette, la pappa al pomodoro. Le conserve per l’inverno, i dolci di pane ammollato e fatto rinvenire. Tutte cose che ora tornano, ma che sono sempre state nostre, senza che nessuno ce le insegnasse. Erano lì, perché fanno parte della nostra cultura. Quella che oggi è Patrimonio dell’Umanità.
La Cucina Italiana Patrimonio Unesco: a cosa stare attenti adesso

È bene ricordarselo, il senso di questo bellissimo riconoscimento, di cui non si può non essere fieri e felici. Ma che in questi mesi è già stato più volte travisato, e siamo certi lo sarà anche in futuro. Ce le immaginiamo già, le ricette tradizionali della GDO con la bandierina italiana e la scritta “la Cucina Italiana Patrimonio Unesco”, a dimostrare che non si è capito granché, ma che però si è sfruttata la ghiotta opportunità economica all’orizzonte.
Sarebbe un peccato vero, perché il Patrimonio Unesco è certamente una grande occasione – anche economica, ovviamente – e non va buttata via facendoci venire la nausea e banalizzando quello che è un traguardo importante e sentito.
Quindi, per favore, non cadiamo nel tranello dei prodotti Patrimonio Unesco, dei piatti Patrimonio Unesco, dei menu Patrimonio Unesco. Nulla di tutto questo ha senso, se non da un punto di vista di marketing a breve termine.
Cerchiamo invece di capire il significato più profondo di questo riconoscimento, e di farlo nostro, usandolo per raccontare al meglio la nostra cultura e il nostro legame con l’enogastronomia. Perché il riconoscimento a Patirmonio Unesco è certamente un motore di posizionamento nel mondo, e di attrazione turistica, ma lo è solo quando è utilizzato in maniera sensata e intelligente. Altrimenti, nella logica del “tutto e subito” (che tanto ahinoi appartiene al nostro modo di fare), il rischio è di sciupare tutto quanto, senza ragionare a lungo termine.
E invece questo risultato può costruire, ancora di più di quanto già non sia, un turismo nuovo, legato all’enogastronomia, alle tipicità, al racconto dei territori, della nostra cultura, finanche dei prodotti e delle ricette, in questo senso sì. E può anche essere un forte elemento di aggregazione culturale, di riconoscibilità interna e internazionale di un popolo che si unisce solo in due occasioni, di fronte a un piatto di spaghetti e di fronte a undici uomini vestiti d’azzurro che corrono dietro a un pallone.
Insomma: il riconoscimento della cucina italiana Patrimonio Unesco è un grande risultato. Ora, cerchiamo davvero di non sprecarlo.

