La forzata coesistenza tra gastrofanatici e villaggi vacanze

Arrivo a Otranto nel pomeriggio e aspettando la cena, con un bicchiere in mano presto trasformato nella naturale estensione del mio braccio, riavvolgo il film favorito dal tramonto. Mi vedo giovanissimo, ingenuo e ahimé molto più magro, letteralmente estasiato dal buffet serale del ClubMed di Caprera. Faceva caldo a Berlino quel giorno del 1936 ma lui adesso era lì su quel podio, con tutta la nazionale belga di pallanuoto. Gerald Blitz ancora non sapeva che la sua vita a Calvi, in Corsica, tredici anni più tardi sarebbe deragliata: ospite del Club Olimpico viene folgorato da un’idea semplice e geniale: coniugare, in un mondo finalmente libero dagli orrori della guerra, le vacanze con lo sport. L’anno successivo, è il 1950, apre a Maiorca il primo ClubMed. Mi sorprendo a ricondure la mia cotta inestinguibile per il cibo proprio a quel buffet scintillante.

Oggi, 26 estati e 15 chili dopo, mi aggiro con il piatto vuoto, disincantato e in cerca d’ispirazione, tra i banchi traboccanti pietanze. Mi incaglio perché, l’avrete notato, i buffet dei villaggi turistici sono anestetizzati, né profumi né puzze, zero eccessi. L’immagine contrasta diametralmente con i mercati del cibo di strada seminati per il mondo, dalla Boqueria a Barcellona al mercato centrale di Firenze, dalla Vucciria di Palermo al Chelsea Food Market di NYC, dov’è tassativo consultare le narici per ritagliarsi un percorso ad hoc.

L’effetto del combo cucina di massa/aria condizionata alla fine mi incupisce, non riesco a scegliere: la pastasciutta no, meglio evitare, non me l’ha ordinato il medico di frequentare certe cotture. Il pesce ni, e comunque solo grigliato, alla larga dai sughi che mimetizzano e dai fritti misteriosi. Da napoletano, poi, dribblo il forno (elettrico) delle pizze perché mi conosco e so che la sera del ritorno, con le borse ancora in macchina mi costringerò a compensare con una margherita doc nelle super pizzerie del centro. La classica sindrome dell’emigrante,

Perciò mi nutro fondamentalmente di carne (passabile il carpaccio che qui fa molto gourmet) e verdure, sfogando l’estro artistico nella creazione di improbabili insalate variopinte con tutti i frutti della terra, già mondati, sezionati, ed elegantemente disposti solo per i miei occhi. Un diversivo è la serata a tema “salentino-pugliese” che estende il menu a fave e cicoria, orecchiette con cime di rapa, pezzetti di cavallo e pittule.

Integro con tutta la frutta possibile: mele, banane, kiwi e cocomero con rari sconfinamenti tropicali, a volte, impigrito dall’atmosfera del villaggio, prelevo lascivo delle vaschette di macedonia. Le bibite (tutte rigorosamente alla spina con la birra più che discreta) e i dolci (spudoratamente disponibili a qualunue ora del giorno) vanno rubricati alla voce: attentati alla linea e alla salute, la sola difesa è l’indifferenza. Mentre, i più disposti al sacrificio, possono massacrarsi partecipando alle gare sportive.

Annunciata da temperature ignominiosamente africane — oggi si prevede anche l’afa, l’estate infine è arrivata, ancora qualche giorno e il tema villaggio-vacanze tornerà di scottante attualità. Raccontateci come coesistono gastrofanatici e Club Med (o quel che l’è), e poi cosa mangiate e cosa no nei villaggi turistici.