L’incredibile storia del melone di Montreal, lo champagne dei cocomeri

Dai ristoranti di lusso della New York ottocentesca alla (quasi?) estinzione, storia del melone di Montreal, cocomero leggendario e costosissimo.

L’incredibile storia del melone di Montreal, lo champagne dei cocomeri

Estate (quasi), caldo (troppo), voglia di frutta fresca (sempre). Che ne dite di un bel melone, succoso e profumato? Potremmo addirittura fare a meno del prosciutto, e scoprire che non cade il mondo (anzi). Un cantalupo è sempre il top, col suo cugino retato subito sotto: ma se vi proponessi un melone impossibile? Una assaggio di cocomero verde, dolcissimo e con retrogusto di noce moscata? Una fettina, che viene via al modico prezzo di 30 euro, di quello che che anche per ciò, ma non solo, viene definito lo champagne dei meloni? Anzi che costerebbe così perché in verità, ecco, questo frutto non esiste (più). Ecco a voi l’incredibile storia del melone di Montreal: nato, morto, risorto e scomparso di nuovo. O forse no, non del tutto: una storia dal finale dolceamaro, quasi come la polpa del leggendario cocomero.

L’età d’oro del melone di Montreal

melone di montreal

A cavallo tra ’800 e ’900 c’era un frutto che i newyorkesi ricchi consumavano come raffinato dessert, seduti ai tavoli dei più raffinati ristoranti: una fetta costava quanto una bistecca, 1 dollaro, corrispondente a circa 30 dollari di oggi. Era il melone di Montreal, che un giornale d’epoca descriveva così: “di grandi dimensioni, dalla forma quasi rotonda, appiattita alle due estremità e marcatamente costoluta, scorza verde e retata, polpa molto spessa e di sapore delizioso”. I frutti più grandi potevano arrivare a pesare quasi venti chili, e ogni anno un melone dei più belli veniva mandato dall’America alla regina d’Inghilterra, come ricorda Atlas Obscura che ha ricostruito la storia.

Il melone di Montreal veniva effettivamente coltivato nella città canadese, la più grande della provincia francofona del Québec. Precisamente nelle zone periferiche come Notre Dame de Grâce, perfette per l’esposizione al sole, il drenaggio del suolo e il terreno fertilissimo perché concimato con il letame dei cavalli, le cui corse all’epoca erano molto diffuse. Ma nei primi anni del nuovo secolo la città iniziò a crescere, le zone edificate si espansero e quelle adibite a campagna vennero inglobate – mentre scarseggiava anche il prezioso concime. Accadde così che il melone di Montreal non venne più coltivato, e scomparve: estinto.

La rinascita negli anni ’90 

Il primo a raccontare questa storia triste fu Barry Lazar, giornalista della Montreal Gazette, nel 1991. Ma proprio il suo pezzo generò un colpo di scena: il suo collega Mark Abley si mise in cerca dei semi della pianta, che effettivamente a Montreal e dintorni non c’erano più. Ma riuscì a trovarne alcuni presso una specie di banca del seme gestita dal Ministero dell’Agricoltura USA, nell’Iowa. Se li fece spedire e li diede a Ken Taylor, un chimico con la passione delle piante rare e dimenticate, un mezzo pazzo che tiene nell’orto qualcosa come 300 varietà di pomodoro.

Taylor riuscì subito a produrre frutti, alcuni di notevoli dimensioni, ben oltre i 10 chili, e negli anni successivi distribuì anche i semi a coltivatori amatoriali così come alle industrie sementiere. Così alla fine del secolo scorso il melone di Montreal conobbe un secondo periodo di splendore: diffusione, entusiasmo, raccolte di finanziamenti, addirittura merchandising come le magliette con l’inconfondibile forma. 

Ma questa storia non finisce bene: il melone è un frutto molto delicato, che ha bisogno di condizioni stabili e patisce qualsiasi minima variazione. Dopo qualche anno il salvatore delle specie rare smise di coltivarlo – e pone oggi una questione interessante: le specie commestibili devono essere conservate solo perché rare? Secondo lui no, il discrimine è la bontà, e la riuscita. Così pure la pensavano le aziende agricole, e dopo la nuova nascita il melone di Montreal conobbe una nuova morte. Più o meno.

Il melone nell’Arca del Gusto

Il melone di Montreal è oggi nell’Arca del Gusto di Slow Food: da non confondere con i Presidi, che sono un progetto di tutela operativo, l’Arca del Gusto è una grande e se possibile ancora più ambiziosa opera di catalogazione e informazione. A quanto si legge sul sito, sembra che non tutto sia perduto:

“Il melone di Montreal ha grandi dimensioni e scorza verde scuro sottile, che si spezza con facilità. È apprezzato soprattutto per il suo sapore dolce, quasi speziato, con evidenti note di noce moscata. Particolarmente consumato all’inizio del xx secolo, era noto come il “re dei meloni”. La sua origine è da attribuirsi ad alcune varietà importate dai colonizzatori francesi nel XVII secolo. La sua coltivazione – mirata ad avere frutti dolcissimi ed aromatici – richiede un’assidua e attenta cura manuale. La produzione e commercializzazione di questa varietà di melone non ha retto la concorrenza di altre colture e, nel 1990, il melone sembrava praticamente estinto, così come le varietà francesi sue antenate. La riscoperta è legata all’interesse da parte di un’istituzione locale: Eco-Initiative, con sede a Montreal. I semi sono stati scoperti nello Iowa, in un centro di ricerca agricola. Con l’aiuto dei coltivatori locali e – in via sperimentale nel campo dell’organizzazione Eco-Initiative – è ripartita la sua coltivazione. Il melone si adatta meglio ai terreni fertili e ai pendii sui quali sorgono i sobborghi di Montreal. L’organizzazione locale Eco-Initiative finanzia un giardino denominato Cantaloupe Garden, che ha lo scopo di recuperare la coltivazione di questo melone che è attualmente considerato a rischio di estinzione”.

Il melone di Oka, discendente  

melone

C’è poi un altro modo in cui il melone di Montreal sopravvive, se pure in forma ibridata. I monaci trappisti di Oka, vicino alla città canadese, come spesso accade nei monasteri si sono sempre dedicati al cibo: all’inizio del ’900 producevano un famoso formaggio, allevavano una varietà di polli adatti al rigido clima della zona, e incrociarono il Montreal con il melone banana, un’altra varietà antica dalla forma allungata. Ottennero un frutto dalla polpa arancione e dalla scorza con circa dieci coste: il melone di Oka, una specie di figlio del noto Montreal. Anche questa coltivazione a andò perduta in favore di specie più remunerative, ma qualche anno fa Jean-François Lévêque, un appassionato del luogo, riuscì a recuperare alcuni semi. La cosa incredibile è che quando li portò al monastero, i religiosi non avevano alcuna idea di cosa stesse dicendo: del melone Oka si era perduta anche la memoria, fin nel posto dov’era stato creato. I monaci però sono stati ben contenti di riprendere le coltivazioni, se pur in misura minima e per uso interno: oggi fanno 40 frutti all’anno, sempre più degli abitanti del convento che sono solo 18.