Ode alla cotoletta alla bolognese, non ho detto milanese

Qualche settimana fa, mi ero messa in testa di provare tutte le Cotolette alla Bolognese delle trattorie e Osterie di Bologna; poi la sua insostenibile pesantezza dell’essere mi ha fatto desistere dopo una manciata di tentativi. A Bologna si dice che la miglior cotoletta alla Bolognese sia quella dell’Osteria Bottega, in Via Santa Caterina. Anche quella di Gianni, in Via Clavature, non è per niente male. Altri tentativi che ho fatto son falliti miseramente, specie nella fase in cui chiedevo all’oste la sua ricetta, e mi sbobbava interpretazioni poco convincenti tipo: carne di maiale (macchè maiale?), salsa quattro formaggi (no, ti prego) e altre amenità.

La mia ricetta di riferimento resta quella dell’Edda: bolognese doc, la prepara a suo marito Antonio la domenica a pranzo (dopo i tortellini, e prima della zuppa inglese) e son sposati da 50 anni! Mi spiego meglio, non gliela prepara sempre, cioè ogni domenica, altrimenti Antonio avrebbe mangiato 2600 cotolette (probabilmente ora, nella migliore delle ipotesi, avrebbe qualche problema di colesterolo), ma spesso si diletta nella sua preparazione: carne di vitello, panata e ri-panata con uova e pan grattato, fritta nel burro, imbevuta di brodo di carne, ricoperta da scaglie di grana e prosciutto crudo, passata al forno o al tegame per sciogliere il formaggio, ornata di concentrato di pomodoro (in stagione una spolverata di tartufo è gradita, ma opzionale).

Insomma: la summa dei piaceri gastro-emiliani, un mix di proteine disparate, un macigno sullo stomaco. Nei suoi confronti ho una sorta di ammirazione che me ne fa cantar la lode, ed i motivi per cui ne vado pazza sono pressoché questi:

Perché non è alla Milanese.
I Bolognesi sanno come essere esagerati, non hanno idea di cosa sia il “materico ed essenziale” stile Milanese. Tendono ad esagerare, da bravi buontemponi e goduriosi, non si lasciano scappare l’ennesima occasione per strafare; come nel caso della cotoletta: non bastava friggerla, no. Bisognava inzupparla nel brodo, e riempirla di formaggio e prosciutto e bona lè!

Perché è vintage.
La cotoletta alla bolognese è vintage come il tinello, come il color carta da zucchero, come il Piatto del Buon Ricordo (esiste qualche under 70 che li colleziona ancora?), come l’uomo che non deve chiedere mai. Vintage come il pranzo della domenica: unico momento in cui sia umanamente possibile tentare di consumarla. Devi essere cerebralmente inattivo per le successive 4 ore…

Politicamente scorretta.
In tempi in cui essere sovrappeso è una colpa, in cui la lotta alle calorie è spietata e impera la cucina salutista, non c’è niente di più politicamente scorretto della cotoletta alla bolognese. A tratti sconveniente, la cotoletta se ne frega e servono stomaci allenati per mangiare questo puro esercizio di GRAStronomia.

E’ la mia personalissima Twilight Saga.
Edward sta a Bella, come io sto alla cotoletta: “vorrei, ma non posso”, ovvero storia dell’impotenza umana verso certe attrazioni. E dire che io non sono di quelle fanciulle che mangiano come colibrì, ma la cotoletta mi incute un certo timore reverenziale, io la credo uno dei cibi più ridondanti (ma perché il brodo?) del mondo, e dinanzi alla sua maestosità, mi inchino, ma non riesco a cedere.

L’avete mai provata? Dove? Esiste qualcosa di più macigno di una cotoletta alla bolognese?

[Crediti | Martina Liverani è l’autrice del blog Curvy Foodie Hungry. Immagine: Cookaround]