Panettone: quando la marca è fumo negli occhi

Sul dibbbattito panettone artigianale vs panettone industriale, passateci le definizioni, ognuno ha sfornato la sua opinione che l’altro ha ritenuto ovviamente discutibile. A forza di discutere, abbiamo consumato nel 2011 oltre 10 tonnellate di artigianale e 42 di industriale. Un mercato che ingolososce e spinge chiunque abbia un marchio da spendere a ritagliarsi il suo angolo di paradiso. Ma se consideriamo normale che un panettone a marchio Rinascente venga prodotto dai terzisti di Scar Pier, o che il lievitato Fior Fiore Coop provenga dalla Maina di Fossano (CN) (come il Viaggiator Goloso dell’Unes), è più sorprendente che Peck, la bottega del lusso meneghino, si rivolga alla Galbusera di Cosio (SO).

O che un panettone griffato dalla pasticceria milanese Cova esca sia dal laboratorio di via Popoli Uniti, che dallo stabilimento Borsari di Badia Polesine (RO). Anche se l’apoteosi del dislocamento spetta alla decantata pasticceria Marchesi di Milano che esternalizza la produzione all’Albertengo di Torre S. Giorgio in provincia di Cuneo, da dove i panettoni arrivano pronti e impacchettati.

Cosa che di per sé non significa tradimento. Il pasticcere che commissiona lievitati all’esterno, specie se famoso, può chiedere e ottenere prodotti più o meno corrispondenti alle sue richieste, e adeguare il prezzo di conseguenza (anche se certe esagerazioni gridano vendetta).

Ma ora immaginiamo che a Natale, completamente all’oscuro della cosa, abbiate stanziato un discreto budget per il panettone Giraudi, cioccolatiere di culto piemontese, o per il torrone del suo collega di sexysimbolitudine Relanghe (il primo realizzato dalla pasticceria Racca di Torino, il secondo dalla Albertengo). E che una volta a tavola, guardando l’etichetta, vi siate accorti che la vostra dedizione al marchio era mal riposta. In questo caso cosa fate, ci restate male?

Siete in buona compagnia, anch’io dovevo immaginarlo che il dolce alla birra del celeberrimo birrificio artigianale Le Baladin di Piozzo (CN) non è sfornato dalle mani del buon Teo Musso (anche qui l’Albertengo ci cova).

Ed è anche curioso scoprire che nei supermercati si vendano panettoni identici, fatti nello stesso stabilimento e con gli stessi ingredienti, ma con prezzi diversi a seconda dei marchi.

Sarò un inguaribile romantico ma ogni volta che succede mi sento un po’ ingannato. Capita anche a voi?