6 ricette di contorni romaneschi imperdibili

Sei ricette imperdibili di contorni romaneschi: come preparare al meglio vignarola, carciofi, cicoria, puntarelle e altre imperdibili primizie alla romana.

6 ricette di contorni romaneschi imperdibili

Sì vabbè, cacio e pepe, carbonara, amatriciana, gricia. Sì vabbè, abbacchio, scottadito, coratella, pajata. Ma vuoi mettere i contorni romaneschi? Cioè, quanto sono buoni?

E per chi non li conoscesse, non sto parlando di semplici verdurine cucinate alla bell’e meglio e buttate lì accanto alla fettina. Ma di signore ricette capaci di conquistare i più carnivori dei carnivori e, in molti casi, di ingolosire anche i più veggie tra i veg (certo, se rinunci alle eventuali aggiunte di acciughe o guanciale).

Vediamola, allora, questa carrellata di prelibatezze capitoline. In ordine alfabetico, per non far torto all’una o all’altra specialità, ecco le migliori ricette di contorni romaneschi da preparare, ovunque abitiate.

Carciofi alla giudìa

Si parte col botto, con quello che è uno dei migliori piatti non solo della cucina ebraico-romanesca, ma dell’Italia intera. E anche il più complicato da preparare.

Tre i segreti. Il primo è scegliere i giusti carciofi, ovvero le mammole, o carciofi romaneschi (appunto): grandi, tonde e senza spine, hanno comunque foglie coriacee che vanno eliminate, strato dopo strato.

Ecco allora il secondo segreto: la pulizia deve avvenire con un taglio che, partendo dalla sommità, proceda a spirale verso il gambo eliminando via via le parti dure (in pratica, quelle più verdi e/o violacee).

Il risultato deve essere una sorta di rosa (a me piace più il paragone con un ranuncolo) di colore chiaro, con un piccolo pezzetto di gambo attaccato. Allargando il carciofo si elimina anche l’eventuale peluria interna.

Man mano che si puliscono, i carciofi si tuffano in acqua e succo di limone. Una volta pronti, si sgocciolano e si asciugano bene.

Ora arriva il bello, ovvero il terzo trucco: la doppia frittura. Inizialmente i carciofi si immergono in abbondante olio a fiamma e temperatura moderate (intorno ai 140°). Per questa frittura occorrono circa 10 minuti, rigirando spesso i carciofi.

Quando una forchetta, infilata all’attaccatura del gambo, entra facilmente, è il momento di scolare i carciofi su carta per fritti.

Mentre si alza la fiamma, per portare l’olio a 160-170°, si aprono i carciofi battendoli leggermente sul piano, per ottenere fiori allargati che si condiscono con poco sale.

A questo punto, finiscono nuovamente nell’olio, ormai ben caldo, solo per qualche minuto, finché le foglie risultano dorate e croccanti. Ultimo passaggio sulla carta, ancora poco sale e via in tavola.

Dilemma: olio extravergine, di oliva o di arachidi? Personalmente, trovo la prima opzione antieconomica, la seconda comunque di sapore un po’ forte, l’ideale potrebbe essere un mix di oliva (non extravergine) e arachidi. Ma va molto a gusto.

Carciofi alla romana

carciofi romana

Torniamo a una cucina più facile e immediata con questo piatto sempre presente sulle tavole familiari, nel banco delle gastronomie e nel menu di ristoranti e trattorie.

Il carciofo ideale è ancora il romanesco, ma si adattano tutte le varietà di questi ortaggi.

Si deve naturalmente spuntare e pulire, eliminando le foglie esterne ma in modo meno drastico rispetto a quanto si fa per la giudìa. Anche il gambo si può conservare attaccato al capolino o comunque aggiungere nel tegame di cottura.

Occorre allargare il carciofo, non solo per privarlo della peluria, ma anche perché tra le foglie si andrà a inserire una sorta di ripieno gustoso, un trito di aglio, prezzemolo e mentuccia.

Che, no, non è una menta dalle foglie piccole ma una varietà spontanea, chiamata anche nepitella, meno “mentosa” e lievemente pizzichina. Oh, se poi abiti a Trento e non la trovi, usa pure la menta – ma non dirlo a nessuno!

Ci sono diversi possibili arricchimenti. Mia mamma, per esempio, aggiungeva al trito pangrattato e una punta di pasta di acciughe e c’è chi ci mette anche pecorino grattugiato.

Quale che sia il ripieno, una volta ben imbottiti i carciofi si mettono a testa in giù (ovvero, con i gambi in alto) in una casseruola che li contenga a misura, in cui si versano acqua e qualche cucchiaio d’olio, in modo che il liquido arrivi a circa metà dei carciofi.

La cottura avviene a fuoco dolce e a tegame coperto in circa 30 minuti o comunque il tempo necessario perché la solita forchetta, infilata all’attaccatura dei gambi, riveli che il cuore è tenero a puntino.

Cicoria ripassata

Cicoria ripassata

 

La cicoria propriamente detta nasce erba selvatica e si acquista a mazzetti sui banchetti del mercato e dagli ortolani più forniti.

Stiamo parlando dell’erba dalle foglie verde scuro, a margini frastagliati, con lunghi gambi bianchi e fiorellini azzurri.

La versione coltivata è quella comunemente chiamata catalogna, con cespi grandi e fusti spessi.

La cicoria di campo è più tenera, quella orticola più tenace. In entrambi i casi, si tratta di una verdura amarognola.

Che non a caso si prepara in due tempi, ovvero si “ripassa” in padella con aglio, olio e peperoncino (e la solita acciughina, se piace) dopo una sbianchitura in acqua, che attenua le note amaricanti e ingentilisce le fibre.

Naturalmente, se è proprio il gusto intenso che ricerchi puoi saltarla direttamente, senza prima sbollentarla (ma con la catalogna, occorrerà scegliere le foglie più centrali e scartare la parte più dura dei gambi).

Quali che siano la varietà e la tecnica di cottura, la cicoria spadellata è un contorno deciso nel sapore, soprattutto se chi la prepara usa con generosità aglio e peperoncino – come è giusto che sia. Astenersi palati delicati.

Concia di zucchine

Anche qui siamo nella cucina ebraico-romanesca. Quella del Ghetto, dove la concia di zucchine gareggia in bontà con i già citati carciofi alla giudìa. E anche qui, i segreti sono due: la varietà e la frittura.

Quindi: dimentica le zucchine lisce e scure primo prezzo al super. Non per snobismo ma perché in genere sono ricche d’acqua, che con la frittura fa a cazzotti, e spesso anche di semi centrali, che sotto i denti non sono mai piacevoli.

Cerca, invece, le zucchine romanesche, a buccia chiara e scanalate, che quando le affetti danno rondelle dalla forma aggraziata, a metà tra un fiore e una stella a tante punte.

Tagliale dunque a fettine sottili e friggile poche per volta in abbondante olio extravergine: questa volta sì perché le zucchine lo assorbiranno e ne conserveranno il sapore.

Man mano che sono dorate, scolale via via su carta per fritti e salale.

Raduna le zucchine fritte in una pirofila, a strati, e condiscili man mano con un trito abbondante di prezzemolo e menta e qualche lamella d’aglio, irrorando con qualche cucchiaio di aceto bianco.

Copri e fai riposare in frigo almeno una mezza giornata prima di servire la concia, lasciata una mezz’ora a temperatura ambiente che il freddo eccessivo appiattisce i tanti sapori sprigionati da questo piatto.

Psst! Qualcuno filtra l’olio usato in frittura e ne tiene da parte qualche cucchiaio, da aggiungere alla concia. Io non ti ho detto nulla eh 😉

Puntarelle aglio e acciughe

Ti ho appena parlato della catalogna. Che è una cicoria dai grossi cespi. come tutti i cespi, vegetano dal centro verso l’esterno. E a primavera, dal cuore della catalogna spuntano loro, le puntarelle.

A guardarle, cilindriche e appuntite, sembrano quasi asparagi. Come questi le puntarelle sono germogli. E fra l’altro la catalogna che le produce è chiamata anche cicoria asparago, e il cerchio si chiude.

Fatta questa dotta disquisizione, ecco come prepararle alla romana.

È bello sapere, innanzitutto, che le puntarelle non hanno scarto: si consumano sia gli spessi fusti che le sottilissime foglie allungate.

Affetta le puntarelle per il lungo e tuffale in una bacinella con acqua e ghiaccio, lasciandole riposare per un po’.

Il freddo avrà, in questo caso, due effetti positivi. Il primo è quello di rendere le tue striscioline turgide e croccanti. Il secondo è di far arricciare le parti più sottili. Così, la tua insalata sarà gradevolmente tridimensionale, sempre molto instagrammabile (se ti piace il genere).

I riccioli di puntarelle si condiscono con una salsetta preparata con acciughe sotto sale o sott’olio e aglio, ben tritati, ottimo olio, pepe e una spruzzata di aceto. Il sale potrebbe non servire (per via delle acciughe).

I più chic, invece di tritarlo, spremono l’aglio per ottenere una purea che si emulsiona meglio al condimento. Vietato non metterlo.

Vignarola

Last but not least, la vignarola è forse il meno conosciuto ma il più ricco dei modi romani per dire contorno.

Ha molto a che fare con la primavera, le primizie e – si dice – anche con i lavoratori delle vigne che sembra usassero riunire in questo piatto quel che l’orto di casa offriva all’inizio della bella stagione.

Quindi lattuga romana (quale sennò?), ancora carciofi (carciofi sempre!) ma anche legumi, fave e piselli, rigorosamente freschi, appena sgranati.

Si parte da un soffritto in casseruola di cipollotto e, volendo, aglio e peperoncino. Sempre volendo (ricordi? ci sono versioni di queste ricette carnivore o vegetariane) al soffritto si aggiunge qualche fetta di guanciale, ridotta a listarelle.

Quando la base è ben rosolata si uniscono i carciofi, mondati e tagliati a lamelle sottili. Via via si aggiungono le fave (a piacere, prima scottate e sbucciate, ma se sono tenere la pellicina bianca si può lasciare), i piselli e per ultima la lattuga, tagliata a striscioline, che deve appassire solo pochi minuti.

La cottura si agevola con brodo vegetale, aggiunto man mano perché gli ortaggi non soffriggano ma si stufino dolcemente.

Qualcuno prepara il brodo con gli scarti degli ortaggi usati, compresi i baccelli di fave e piselli. Recupero che mi sembra molto coerente con l’origine contadina della ricetta e non fa altro che rafforzarne il sapore.

Così, la vignarola risulta un po’ brodosa. Accanto, un paio di spesse fette di pane casereccio saranno pronte per far scarpetta trasformando la vignarola quasi in una zuppetta. Altro che contorno!