Weekend. Chi il calcio. Chi un film. Io osservo l’inesorabile trasformazione del mio addome

MIDNIGHT IN PARIS.
Nel caso non l’abbiate ancora fatto, andate a vedere l’ultimo Woody Allen prima che il grosso delle sale italiane sostituisca la sua Parigi con Cortina. Midnight in Paris è un film con un soggetto strepitoso, autoreferenziale il giusto e con l’occasionale colpo di genio; e l’enostrippato noterà un paio di chicche che faranno passare l’amaro in bocca per il modo in cui viene liquidata la scena della degustazione di vini. C’è innanzitutto da registrare il product placement del Domaine Clarence Dillon, proprietario di Chateau Haut-Brion e Chateau La Mission Haut-Brion, i quali appaiono più volte nella pellicola. E poi ci sono belle scene ambientate da Polidor, un luogo magico che è effettivamente rimasto così com’era negli anni Venti; e se da Polidor si va, più che per una cucina classicissima e solo corretta, per l’atmosfera senza eguali, si entra dal portone a fianco, Les Caves du Polidor, per stappare vecchi millesimi offerti a prezzi spesso ragionevoli, se non clamorosi. L’enofilo accanito non può non visitarlo almeno una volta, e probabilmente coverà sempre il desiderio di tornarci.

EATALY.
Ormai ci sono app per ogni chef, rivista, ricettario, negozio. Poteva mancare quella di Eataly, la catena di supermercati per gourmet? Ben fatta anche se a pagamento (2,99 Euro) e a me le App a pagamento non piacciono molto, raggruppa 1000 ricette di Osterie di Italia, la guida di Slow Food, ed un corposo vedemecum ai vitigni nostrani.

LANGHE DOC.
Silvio Pistone è un casaro, Mauro Musso produce pasta artigianale e Maria Teresa Mascarello ha deciso di seguire la scia del padre Bartolo, patriarca di Langa e produttore di magnifici Barolo tradizionali. Il film racconta storie di eretici nell’Italia dei capannoni e riconcilia con la profonda umanità dell’artigianato agricolo per resistere, resistere, resistere. Da mettere sotto l’albero.

BAR CAFFE’ AL CASTELLO, Via Carlo Farini 48, 20159 Milano.
È un bar come un altro, con le slot-machine digitali: una versione del 2011 di un baraccio anni ’70. Lo gestisce una ragazza cinese molto giovane con quella che abbiamo pensato essere la madre; entrambi sono di una velocità fulminea. Questa è la parte positiva dell’esperienza, poi c’è stato tutto il resto. Il cappuccino tiepido si è trasformato in piombo fuso, l’acqua dimenticata (e quindi non pagata), la brioche è di quelle scongelate e preparate nel fornetto elettrico. Il servizio ci ha portato a dire “lasci stare, fa lo stesso”. Tovaglioli di carta, bustine di zucchero e stoviglie hanno tre brand diversi e nessuno dei tre è quello del locale, c’era troppo latte nella tazza ed è tutto colato nel piattino di portata: di solito avremmo chiesto di ricominciare daccapo ma c’è limite all’accanimento, e sarebbe stato accanirsi sul sei a zero. Detto che la ragazza che sta al bancone è di una celerità impressionante e la madre un filo meno, l’ambiente è un po’ quello che è, cioè brutto. La veranda dà sulla Via Alserio, trafficata e sporca, e lì è permesso ai clienti di fumare ma i tavoli sono troppo vicini gli uni agli altri, con il risultato che ci si fuma addosso. No, no, no.

L’AMORE, LA MORTE E IL BASILICO. LA CUCINA MARSIGLIESE DI JEAN CLAUDE IZZO.
Chi l’ha detto che le spezie a dicembre debbano essere usate solo per fare il vin brûlé o i biscotti? Per chi agli aghi di pino preferisce i rametti di lavanda o per chi pensa allo zampone come ad un tragico, inevitabile appuntamento col destino, ecco un libretto con cui salpare verso i profumi e i colori del Mediterraneo: “L’amore, la morte e il basilico. La cucina marsigliese di Jean Claude Izzo” di Pier Paolo Pracca (Il leone verde Edizioni, 10,00 euro). Marsiglia è lo sfondo e i romanzi di Izzo lo spunto per attraccare al Vieux Port, scendere al mercato del pesce di Quai des Belges e camminare tra le viuzze strette del Panier alla ricerca del segreto della perfetta ratatouille. Il maître consiglia un bel Bandòl rosè, magari di Château Pradeaux. Ora mettetevi comodi e lasciate che il mondo si ricopra di zucchero a velo, mentre dalla cucina arrivano i profumi della vostra bouillabaisse.

ROSSO DI MONTALCINO LE RAGNAIE.
Se siete dalle parti di Montalcino, dovreste farmi un favore: passate da Le Ragnaie, ad assaggiare il loro Rosso di Montalcino 2009, e tanto che ci siete, chiedetegli come è uscito fuori questo Rosso così perfettino che pare finto. Già è meraviglioso a partire dal colore snervato da sangiovese, che è tipico, e va bene. Ma quel profumo? E’ irreale, per come declina frutta, fiori, in un tripudio di eleganza, intensità, ampiezza. E in bocca poi, non vorresti mandarlo giù, per non interrompere l’incantesimo. Fatemi il favore, andate a chiedere come hanno fatto. Oppure cercatelo in qualche enoteca, che dovrebbe stare intorno ai 15 euri. Io coi punteggio ho sempre il freno a mano tirato, ma qui 90/100 è proprio il minimo.