E’ il momento di ordinare: chi decide cosa mangiamo al ristorante?

E’ il momento di ordinare: chi decide cosa mangiamo al ristorante?

Così come esistono i buoni propositi dell’autunno (andare in palestra, risparmiare, mangiare di meno, smettere di fumare, andare a correre ogni sabato, imparare il francese, suonare il sassofono), è nelle cose sedersi a tavola con voglia, appetito e ferme intenzioni. Sono queste le cose che motivano la scelta di un piatto, anche a costo di distinguersi dal resto dei commensali.

Se solo potessimo firmare un contratto con noi stessi in quel preciso momento.

Perché poi succede qualcosa. Se prima eravamo sicuri di scegliere il quinto quarto ora non sembriamo più in grado di farcela.

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Ecco la situazione, brillantemente ricostruita per noi da un ristoratore:

OSTE: se avete bisogno di qualche spiegazione o suggerimento sono qui per voi
OSPITE 1: no grazie io ho deciso. Tu cosa prendi?
OSPITE 2: ehm non lo so… ci sono tante cose interessanti…
OSPITE 1: per me un antipasto e un secondo tu?
OSPITE 2: a beh quello anche per me, non riuscirei a mangiare di più
OSPITE 1: dai allora fatti coraggio e scegli
OSPITE 2: forse la lingua…?
OSPITE 1: ecco a me quella proprio non piace, è il quinto quarto in genere…
OSPITE 2: ah non lo dire a me. dicevo la lingua la escluderei e anche la coda brrr
OSPITE 1: dicevo a me il quinto quarto piace tutto ad eccezione della lingua. Comunque, per me animelle e poi scaloppa di foie gras
OSPITE 2: ma si, anche per me oggi voglio provare una cosa nuova, basta con i soliti piatti.

[Se tra i commensali ci sono politici potenti, datori di lavoro, l’oggetto di qualunque desiderio o un gourmet ben reputato, il gioco diventa talmente evidente da farsi imbarazzante]

Cos’è successo di preciso, quale meccanismo psicologico si nasconde dietro questo comportamento?

Prima decidevano la voglia e il costo di un piatto, altro fattore importante, ma al momento fatidico conta il consenso dei commensali. Gli esperti dicono che è per via della tendenza a collocarsi nel mezzo, senza per forza dover prendere posizione. Inclusi i compromessi matrimoniali che fanno scegliere al marito ciò che mangerebbe la moglie: “tanto ordina regolarmente cose che poi lascia nel piatto, così lei mangia ciò che ho chiesto io e viceversa” (storia realmente accaduta).

Ci sono anche situazioni limite: in certe trattorie di campagna è l’oste che sceglie per tutti, o nei ristoranti pluristellati, di contro, ci affidiamo volentieri alla sapienza del grande chef.

Ma in genere l’ordine al ristorante si traduce in un’estenuante contrattazione interiore, di solito le cose vanno così:

mi piace veramente quel piatto o lo penso soltanto, e se mi delude, e cos’è quel certo ingrediente, cosa significa quella certa parola, mi espongo e lo chiedo al cameriere o lo provo tout court, e qualora prendessi un primo con i funghi potrei evitare i funghi di secondo, anche se infilati in una quaglia glassata e farcita con patè di unicorno…

In realtà, casomai per ordinare al ristorante servisse un sostegno, andrebbero scartati i piatti già visti in altri menu (lo chef sta solo cercando di essere alla moda) insieme ai piatti più insoliti o stravaganti (lo chef sta solo appagando la sua vanità), per scegliere tra quelli rimasti i piatti che ispirano di più.

Ma ognuno di noi ha un comportamento diverso.

Per quale motivo scegliete un piatto piuttosto che un altro al momento di ordinare? Siete risoluti o subite in qualche modo l’influenza dei commensali? O al contrario, siete voi a condizionare i compagni di merende?

[Crediti | Link: Jstor.org, immagine: Guardian]