Gelato al cioccolato: nasce quello tracciato in blockchain dalla pianta

Il primo gelato al cioccolato tracciato con la tecnologia blockchain è realtà, con tutto ciò che comporta. Ecco come funziona.

Gelato al cioccolato: nasce quello tracciato in blockchain dalla pianta

Se, quando si parla di cioccolato artigianale, l’espressione (e il concetto) di uso ormai comune è il “bean to bar”, quello di una lavorazione con tracciabilità in blockchain, che garantisca e renda accessibili tutte le informazioni sulla filiera del cacao dal contadino al cliente finale è decisamente nuova. Più ancora immaginare che si possa avare il primo gelato al cioccolato tracciato in blockchain dalla pianta. Andiamo con ordine.

Chi ha sperimentato la tracciabilità in blockchain riferito al cacao è Chocoplus, il laboratorio di cioccolato della Comunità Abele di Don Ciotti di Grand Bassam (che impiega donne strappate alla tratta e giovani in situazione di disagio sociale) in Costa D’Avorio. Il tracciamento è stato applicato ad un lotto di fave di cacao conferito alla cooperativa Yosran, che vanta peraltro il primato di essere l’unica cooperativa ivoriana guidata da una donna, Estelle Konan. Le fave, lavorate in massa, sono arrivate in Italia. E qui entra in scena Gianfrancesco Cutelli della Gelateria De’ Coltelli di Pisa. Maestro gelatiere, tra i migliori artigiani d’Italia, pluripremiato e assai noto sulle pagine di Dissapore, Cutelli ha declinato la già imprescindibile e maniacale attenzione per tracciabilità, sostenibilità e qualità in termini ancora più ampi, creando il primo gelato con una carta d’identità parlante.

Come funziona?

Cutelli e Mecozzi Cioccolato Cutelli

Sulla targhetta del sorbetto al cioccolato disponibile in gelateria è stato apposto un QR code attraverso cui è possibile ripercorrere a ritroso la storia del prodotto, risalendo a pianta e contadino, trovando i dati sulla qualità della materia prima (coltivata con sistema agroforestale, in regime biologico curando il processo post-raccolta), i riferimenti sul prezzo pagato e verificando che sulla filiera non ci siano stati né sfruttamento della manodopera né schiavismo minorile.
Il valore del progetto non coinvolge solo, banalmente, il consumatore – in grado così di avere un riscontro sul prodotto e potendo compiere un atto di scelta consapevole – ma ha effetti anche sul coltivatore, che riesce a conoscere le sorti del suo prodotto ed avere un pagamento adeguato, su chi cura le filiere, sul cioccolatiere che trasforma le fave (torniamo all’idea del vero bean to bar) e sul gelatiere, in grado di distinguersi da chi non lavora direttamente le materie prime o usa semilavorati. .

Andrea Mecozzi, di Chocofair, che da oltre 10 anni si occupa di creare filiere etiche e di qualità nei paesi di origine del cacao, che sappiano combinare il valore del prodotto con il rispetto di condizioni di lavoro adeguate e che è una vecchia conoscenza di Dissapore, ha spiegato come tutti questi dati prima viaggiassero su carta mentre ora sono disponibili e trasmissibili in modo più veloce e semplice, attraverso un sistema che riesce a funzionare anche offline: nelle piantagioni infatti non c’è la possibilità di avere una connessione stabile.