Per alzare il prezzo del caffè ci vuole coraggio, e un buon prodotto da servire

Siamo disposti ad accettare l'aumento sul cornetto, ma sul prezzo del caffè manteniamo il limite psicologico di 1,20 euro. La materia prima, però, costa sempre di più.

Per alzare il prezzo del caffè ci vuole coraggio, e un buon prodotto da servire
In collaborazione con: Le Piantagioni del Caffè

Il confronto con i professionisti della pasticceria che ha portato al report dell’Osservatorio della Pasticceria Italiana ha confermato un fenomeno di cui si poteva già avere un sentore ma di cui ora si può essere assolutamente certi: il caffè resta l’ultima referenza per la quale gli esercenti temono di adeguare i prezzi rispetto all’offerta.

Facciamo l’esempio del più fedele compagno di una tazzina di espresso nelle colazioni italiane: il cornetto. Ormai bar e pasticcerie hanno completamente sdoganato l’idea di una viennoiserie di qualità, e il cliente ha perfettamente chiaro dove vada la differenza tra un pezzo da 1,80 € surgelato e i 2,20 € o anche i 2,50 € di un croissant artigianale: burro, vaniglia, farine di qualità, manodopera, professionalità. Non solo, le code per un pain au chocolat o per chissà quale ardita creazione di architettura pasticcera monoporzione non stupiscono nemmeno più.

Certo non auspichiamo che si cominci a fare code anche per un caffè, ma sicuramente si può fare qualcosa per creare consapevolezza anche in questo ambito, dando un’idea di cosa c’è nella forbice di prezzo tra industriale e artigianale, soprattutto ora che questa, come abbiamo visto, si sta riducendo.

Robusta o arabica? Ma sopratutto, quale robusta e quale arabica?

robusta e arabica caffè

La prima cosa che influisce, o meglio, che dovrebbe influire sul prezzo del caffè agli esercenti è la materia prima, e per questo dovrebbe essere sempre riconoscibile e rintracciabile: diciture come “blend di caffè varietà Arabica e Robusta”, non ci dicono in quali quantità sono presenti l’una e l’altra e non danno nessuna indicazione sulla qualità. La Robusta presente nel mix è Fine? Premium? Commerciale?

Questa mancanza di trasparenza permette ovviamente alle aziende un ampio margine di manovra per gestire le fluttuazioni del mercato, e laddove il prezzo non cambia è la qualità a pagarne lo scotto: la shrinkflation nel caffè non esiste, le confezioni sono sempre dello stesso peso e per fare un espresso ci vorranno sempre sette grammi, e se la Robusta è la varietà di caffè che ha subito più rincari, o si cambia la proporzione del blend, con ovvie conseguenze sulla costanza qualitativa del prodotto finale, o si utilizzano varietà meno pregiate.

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Dicevamo che la materia dovrebbe essere la componente principale della composizione del prezzo, ma a ben vedere, nel caso dell’industria, non è affatto così: trincerandosi dietro a contratti di “fornitura servizi”, tra macchine in comodato d’uso, arredamenti per interni ed esterni, tazze, tazzine, insegne sponsorizzate e quant’altro, nell’ampia forbice dei prezzi fatti a bar e pasticcerie la cifra è stabilita in base a consumi e ai materiali forniti, con il caffè che si riduce a ultima voce, arrivando a incidere non oltre il 25% del prezzo di listino.

Discorso molto diverso invece per un caffè artigianale, in cui la varietà e qualità del caffè è sempre specificata, così come l’origine, le pratiche agricole e la lavorazione, permettendo agli operatori di estrarlo sempre al meglio e garantendo al cliente finale un prodotto riconoscibile.

Si tratta di una trasparenza non solo metaforica: la differenza è visibile a occhio nudo nei contenitori dei macinacaffè, mentre lattine e tramogge delle macchine in comodato d’uso non permettono a operatori e cliente di vedere il prodotto “dal vivo”, e non è un caso, guardandosi bene dal mettere in mostra chicchi non integri o tostature ai limiti (se non oltre) del bruciato.

Il rapporto con i produttori

Nella composizione del prezzo del caffè, e nel valore che si decide di dargli quando si sceglie un prodotto, bisogna tenere in considerazione il tipo di rapporto che la torrefazione instaura con i coltivatori, e in che modo questo influisce sul valore di tutta la filiera.

Da una parte l’atteggiamento commerciale tradizionale delle grandi industrie è sempre stato quello di garantire ai produttori di caffè grandi volumi, spuntando ovviamente prezzi molto bassi: una situazione che esiste da anni, e che è andata “bene” fintanto che i prezzi del caffè erano tutto sommato stabili ma, in questo periodo in cui la borsa delle materie prime è soggetta ad ampie fluttuazioni, questo tipo relazione commerciale non sta più in piedi.

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Con aumenti della varietà Arabica arrivati al 62% negli ultimi anni e con la Robusta che ha visto picchi del 72%, molti dei coltivatori che avevano il loro prodotto sotto contratto con grandi gruppi industriali hanno giustamente cominciato a chiedersi perché non potessero anche loro approfittare di questi prezzi più alti, col risultato che molti ora preferiscono non vendere il prodotto. Migliaia di tonnellate di caffè sono quindi ferme nei magazzini, un’ulteriore influenza negativa in un mercato già decisamente fragile instabile.

Dall’altra parte i torrefattori artigianali, che creano un rapporto diverso con chi il caffè lo coltiva. In questo caso l’accordo non punta a trovare il prezzo più basso per quantitativi più alti ma a garantire una giusta remunerazione e una difesa dalle oscillazioni del mercato, cosa che si sta rivelando particolarmente preziosa proprio in questi ultimi anni.

Una volta stabilito un prezzo, ben più alto rispetto a quello pagato dall’industria, questo non è fissato nella roccia ma può subire variazioni, e sempre in positivo: in caso di discesa dei prezzi al fornitore è sempre corrisposta la cifre concordata all’inizio, e se questi dovessero aumentare, incasserà una cifra che salirà di conseguenza.