Se bar e pasticcerie pagano di più un caffè, non per forza devono ridurre la marginalità

La marginalità è tutto, quanto si gestisce un bar, e in un momento storico come questo l'aumento delle materie prime (indipendente dalla loro qualità) può aiutare l'economia di chi voglia servire il caffè buono.

Se bar e pasticcerie pagano di più un caffè, non per forza devono ridurre la marginalità
In collaborazione con: Le Piantagioni del Caffè

La scena l’abbiamo vissuta tutti. Siamo in coda all’Autogrill, chiediamo un caffè e il solerte personale di cassa prova, come gli è stato giustamente insegnato, a proporci l’upselling: “vuole il 100% Arabica?. Noi, sotto lo sguardo piacione del testimonial dell’operazione Gennaro Esposito, chef bistellato che ha creato la miscela con Kimbo, accettiamo e ci gustiamo il nostro caffè arabica ad un prezzo che si aggira intorno a un euro e settanta centesimi.

Nulla di cui gridare allo scandalo, ormai sappiamo tutti che i prezzi di Autogrill sono quelli, ma da questo semplice episodio possiamo trarre una lezione importante: basterebbe veramente il minimo indispensabile di “comunicazione e marketing” (chiamiamoli così) per far digerire al cliente un caffè in una fascia di prezzo compatibile con un prodotto di eccellenza come uno specialty coffee, riferendoci ovviamente a una referenza “base” ovvero un blend di robusta e arabica, possibilmente con le note calde adatte ad un pubblico più trasversale possibile e amante della classica tazzina italiana.

Pagare di più la materia prima può aumentare la marginalità?

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La risposta più veloce e semplice alla domanda sarebbe sì, ma la verità è che questa domanda, retorica e controintuitiva quanto volete, non ha più senso di essere posta, perché con la crisi del mercato del caffè degli ultimi anni i prezzi tra un prodotto industriale e quello di un torrefattore di qualità, di cui è possibile conoscere origini e composizione, la differenza di prezzo si è sostanzialmente azzerata e il 2025 è l’anno in cui si è registrato il pareggio.

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La congiuntura che ha portato a queste oscillazioni del mercato del caffè l’abbiamo già approfondita in diverse sedi: il cambiamento climatico ci ha portato dalle piantagioni in Brasile testimonianze di piante su cui erano contemporaneamente presenti fiori, germogli e drupe, una situazione disastrosa che ha causato un calo delle rese dei raccolti che si aggira intorno a una media del 30%, che unita ai rincari dei costi dell’energia e le crisi internazionali ha portato il prezzo di un caffè industriale tra i 35 e i 40 euro al chilo, esattamente come un caffè di una roastery artigianale.

C’è da considerare anche il fatto che nella composizione di quel prezzo finale che viene praticato ai titolari di bar o di una pasticceria, la materia prima non è certo la parte fondamentale: buona parte è quella dedicata ai “servizi”, storica strategia con cui le torrefazioni industriali legano a sé le attività di somministrazione fornendo macchine in comodato d’uso, il minimo di formazione indispensabile per ricavarne un caffè, ombrelloni, insegne e quant’altro previsto dai contratti con gli esercenti. Pratica ovviamente legittima, ma che negli anni ha creato generazioni di caffetterie che ora si trovano ad affrontare un momento di crisi -e relativo cambiamento- con pochissimo margine di manovra in termini di scelta del prodotto, potendo solo assorbire gli aumenti fin quanto possibile o riversandoli sui clienti, non senza problematiche.

Superare la barriera psicologica del caffè a un euro e venti

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Nelle pasticcerie e bar italiani ormai un caffè può costare meno di una bottiglietta d’acqua, e il prezzo “politico” di 1,20 è una soglia psicologica il cui superamento causa (giustamente, per un caffè di scarsa qualità), rimostranze tra i clienti, se non il loro allontanamento definitivo: un limite oltre il quale è meglio non spingersi, ecco quindi che in questo caso l’aumento della materia prima rappresenta per l’esercente una perdita secca.

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Ma torniamo all’esempio che abbiamo fatto all’inizio, quello per cui con un minimo di narrazione questo limite può essere superato.
Con una cifra pari o anche inferiore, tra 1,50 e 1,80€ si può proporre un blend di una roastery artigianale con Fine Robusta e Arabica, con argomenti che vanno bene al di là di un testimonial, per quanto efficace.

Un caffè di qualità porta con sé un’origine chiara e comunicabile dei propri chicchi, specifica la propria composizione, ha un’etichetta trasparente una produzione sostenibile, creando nuove opportunità di fidelizzazione del cliente, un vantaggio che crea un valore aggiunto molto più alto rispetto alla “sola” marginalità.