Città del Gusto di Napoli | Appreso (poco) cotto e mangiato

Ricordo perfettamente che l’avevo aspettata a lungo. La guida dei ristoranti del Gambero Rosso era arrivata alla sua 20° edizione quando finalmente inaugurava a Napoli la sede della Città del Gusto, piazzandosi tra l’altro in una zona dalle prospettive affascinanti, lungo il waterfront che conduce a Pozzuoli finalmente orfano dei fumi dell’Italsider. Non dimentico (come potrei) le delusioni continue del ristorante al suo interno, evidentemente ritenuto non strategico rispetto al core business: eventi e corsi di gastronomia spalmati lungo i 365 giorni dell’anno. Dunque in una curiosa e fortuita coincidenza con l’abbandono del suo direttore Daniele Cernilli decido di iscrivermi alla lezione “I primi di pesce”, così mi infiltro per le tre ore previste nelle cucine a induzione disponibili per gli allievi.

Il “docente” è uno chef giovane e disponibile, Antonio, attualmente in forze a un ristorante di Bacoli, pronto a domare una platea di aspiranti bruciapadelle variegata per età e, da quel che vedo, poco avvezza alla cucina gourmet.

Faccio l’infiltrato e dunque spio: la dispensa prevede la pasta De Cecco, il riso Scotti e addirittura la rucola Bonduelle in busta.

La liturgia prevede che lo chef prepari all’istante, spiegandone i passaggi, due primi piatti che subito dopo replicheremo nelle nostre postazioni (già attrezzate con ingredienti e attrezzature), e che infine, chiuda la serata con una terza ricetta da mandare a memoria.

Più prosaicamente, una volta indossata la pettorina omaggio cucineremo un “Tagliolino al nero con seppie e friarielli (broccolo napoletano)” e un “ Bucatino alla carbonara di mare” limitandoci ad assaggiare un “Risotto gamberi e carciofi” con le labbra bagnate da qualche bicchiere di Falanghina e Verdicchio.

Promettente l’inizio con una pasta fresca vivacizzata dal pomodoro a crudo come nota acida, mentre il bucatino, inevitabilmente malcotto nella pentola sbagliata, paga la mancanza del guanciale e l’uso (solo) decorativo del pecorino. Nello standard sudista il riso, tostato e cotto nel fumetto di teste di gambero e gambi di carciofo, e impiattato con le foglie fritte a lamelle, per un duetto di consistenze, diciamo così, non esattamente riuscito.

Finiamo a pacche sulle spalle, foto ricordo, promesse di incontri futuri e la soddisfazione, una volta tanto, di lasciare tutto sporco senza curarcene. Giudizio sintetico: la formula adottata non mi ha per niente interessato. Va da sé che sarebbe più utile divulgare i prodotti locali, spiegare le tecniche di cottura, sussurrare qualche consiglio per bilanciare il gusto di un piatto, e magari, lasciare che ognuno azzardi una creazione da sottoporre allo chef.

Nella sala del ristorante, desolatamente vuota, due persone cenano in un angolo, non pensavano di avere tutto il personale a disposizione, e ora sono imbarazzate. Al di là dei vetri, eravamo in 18 ad aver pagato 75 euro per prepararci la cena. Benedetta Parodi docet: forse oggi i soldi si sono spostati dietro i fornelli.

[Crediti | Link: Gambero Rosso, Dissapore, immagini: Giampiero Prozzo]