Ecco, in breve, perché la Restaurant week di Roma è una fregatura

Il battage dei giorni addietro, su social network, blog e giornali, la metteva giù abbastanza chiara: “il lusso alla portata di tutti”, “prenotate una cena da sogno”, “i migliori chef della città a soli 25 euro”. Così si presentava la Rome Restaurant Week per la sua prima edizione promossa dagli olandesi di DiningCity e apparecchiata a partire da oggi, lunedì 15 novembre, in un tot di ristoranti capitolini. Prenotazioni? Niente male, se si dà credito agli organizzatori che il 29 ottobre parlavano di “50% di coperti già riservati”. Bene, penserete voi, le “restaurant week” son robe che si organizzano in tutte le città gastronomicamente mature, sono un must a Londra ed a New York ed a Roma l’iniziativa è proprio quello che ci vuole per suggellare l’oggettiva crescita che il comparto ha avuto nell’ultimo decennio. È proprio quello che abbiamo pensato anche noi, ma da qui in avanti vi spiegheremo perché l’entusiasmo a poco a poco è diventato qualcos’altro.

Ma vediamo nel dettaglio. Primo step? Entrare nel sito web della manifestazione ed essere catapultati negli anni novanta di internet quanto ad estetica ed usabilità. Per carità, l’abito non fa il monaco ed è molto meglio un’ottima cena di tre portate a 25€ piuttosto che cibo scadente presentato da una homepage supercool. Verissimo. Prima di andare a prenotare il nostro pasto, però, transitiamo nella sezione dove si spiega il funzionamento dell’iniziativa scoprendo che le tariffe si generano in maniera piuttosto macchinosa e che i 25€ valgono per alcuni ristoranti, ma non per tutti:

Per la sua ‘prima’ italiana, DiningCity Italy propone l’eccellenza della ristorazione romana, i ristoranti migliori della città secondo le guide Michelin, Gambero Rosso, L’Espresso e Slow Food, al costo base di 25 Euro. I ristoranti segnalati con un punteggio superiore a 75 nella guida Gambero Rosso proporranno invece un menù fisso di tre portate a 35,00 Euro, mentre i locali segnalati dalla guida Michelin offriranno ai partecipanti alla Rome Restaurant Week un menù completo a 10,00 Euro in più per ogni stella rispetto all’offerta principale.

Bene, armati di goniometro per capire quando andremo a spendere, passiamo alla lista dei ristoranti per scegliere dove cenare a prezzo di costo e ci troviamo di fronte all’imponderabile. La Pergola di Heinz Beck? Non c’è. Il Pagliaccio di Anthony Genovese? Non c’è. L’Open di Antonello Colonna? Il Convivio dei Troiani? L’Acquolina di Giulio Terrinoni? All’Oro di Riccardo Di Giacinto? Settembrini di Gigi Nastri? L’Arcangelo di Arcangelo Dandini? E Roscioli? E il SanLorenzo? Bhe cari foodies romani, bhe cari turisti vogliosi di scoprire a che punto è arrivata gastronomicamente parlando la capitale d’Italia, avrete solo un luogo dove tentare di prenotare se volete davvero mettere l’eccellenza sotto al palato: Glass Hostaria di Cristina Bowerman. Ehggià perché Glass è l’unico ristorante di primissima fascia ad essere ricompreso nella lista degli aderenti.

Quanto alle “fasce” successive, c’è poco da sbizzarrirsi. Non c’è traccia, per dire, della tanto decantata infornata dei neobistrot alla romana: non c’è Primo, non c’è Pastificio San Lorenzo, non c’è l’Opificio e manco il Salotto Culinario; non ci sono Le Tre Zucche o l’Asino d’Oro e neppure Alchemilla, l’Incannucciata, Satollo o la Gensola [aggiungete qui le vostre neotrattorie preferite e scoprirete che non ci saranno neppure loro]. Mancano pure le new entries dell’ultimo minuto, come il Metamorfosi di Roy Caceres o la nuovissima Iolanda dentro l’Os Club di Davide Cianetti, che avrebbero potuto qualificare la selezione e dare a qualcuno il gusto della scoperta.

Trasecoliamo. Trasecoliamo perché, al netto delle comprensibili difficoltà organizzative, forse non si è capito cosa è ed a cosa serve una restaurant week. Una restaurant week è un evento di notevole, notevolissimo valore culturale. Serve, insomma, ad avvicinare a ristoranti altrimenti inavvicinabili tutto quell’enorme pubblico del “vorrei ma non posso”, degli autentici e genuini appassionati di buona cucina, tutta quella gente che ha stima e rispetto del lavoro degli chef ma che non ha i quattrini per andarli a provare. Un evento culturale che, poi, visto che non si fa beneficienza, fa comodo a tutta l’industria cittadina della ristorazione, perché crea nuovo pubblico, perché lo studente che oggi viene e spende 25 euro, domani avrà un lavoro e verrà spendendone il quintuplo se si riuscirà ad educare il suo palato alla qualità. Le restaurant week servono a far entrare il pubblico laddove non entrerebbe mai ed a farlo abituare ad un certo tipo di ambiente, a farglielo considerare meno marziano: ma c’è qualcuno, a Roma, che considera roba iperesclusiva entrare nel bar Vitti che pure è inserito nella lista? Le restaurant week poi servono a tutto il comparto turistico della città, perché mai come ora una qualificata offerta gastronomica, se ben comunicata, intercetta e attrae flussi di turismo di medio e alto livello. Ecco, Roma ha proprio questo gap: una offerta gastronomica non poi così malaccio, ma comunicata malamente: una restaurant week organizzata in questo modo non fa altro che mortificare ancor più questo difetto di comunicazione. C’è da augurarsi, infatti, che nessun ospite straniero la frequenti, altrimenti potrebbe pensare che sia quello contenuto nella lista il quadro fedele della ristorazione capitolina.

A tutto questo serve una restaurant week. Ed ecco perché a Londra con 25 sterline si va da Gordon Ramsay, ecco perché a New York si può prenotare da Daniel Boulud, da Jean-George Vongerichten e da Nobu. Ovviamente a cifre molto più basse rispetto ai 45€ che occorrono per mettere le zampe sotto i tavoli di Glass.

Non sappiamo se sia stata colpa di DiningCity che ha organizzato l’evento con superficialità e senza tener conto dell’importanza strategica che ha per la città; non sappiamo se, invece, siano stati i ristoratori migliori a ‘tirarsela’ obbligando di fatto gli organizzatori a ripiegare su una selezione indifendibile, ma siamo certi che una restaurant week di questo tipo sia più un danno che un vantaggio per una città che ha ambizioni di strutturare e rafforzare la sua dining scene. Nell’augurio di vedere presto una seconda edizione diversamente sintonizzata (magari, come succede nel resto del mondo, con l’apertura per il pranzo, ad un prezzo ancora inferiore), segnaliamo – per chiudere cercando di farci tornare l’appetito – qualche spunto per chi volesse, nonostante tutto provare a godersi la week.

Cosa c’è di sfizioso in lista oltre al già citato Glass? A’ Ciaramira è un buon posto per mangiare pesce e l’Antico Arco è un ristorante di alto lignaggio. Babette, Il Grappolo d’Oro e l’Asinocotto sono una sicurezza, il secondo da qualche tempo beneficia dell’apporto del giovane chef Riccardo Raus. Gaetano Costa è il pretenzioso ristorante dell’ex chef del Majestic ed è da vedere e da provare. Larys è una nuova apertura e potrebbe essere una sorpresa positiva. Percento, infine, ha aperto da qualche settimana ed ha al comando una giovane chef di Tel Aviv, qualcuno dice che faccia cose assai curiose. Purtroppo, non c’è altro.