Il Santo di Martin Berasategui | Se ci fossero un’Osteria Francescana 2 e un Vissani in Piemonte

Di recente, ho intercettato sul blog di Marco Bolasco, direttore editoriale di Slow Food, il planetarium spagnolo dopo l’uscita della guida Michelin 2011. Risultati: il buon livello dei ristoranti iberici ormai su tutto il territorio nazionale (isole comprese), la vitalità sintetizzata da ben 15 stelle perse e subito rimpiazzate dalle nuove (17 per la precisione), una probabile leadership europea che continua a stupire al grido di “creatividad significa no imitar”. Tutte cose evidenti se pranzate da Santo a pochi passi dalla cattedrale di Siviglia, in una regione — l’Andalusia — indubbiamente più famosa per i toreri e le architetture arabe che per le spume e le sferificazioni.

Domando immediatamente se lo chef è in cucina ma pare mi debba accontentare di immaginarlo, lui — Martin Berasategui — e le sue 7 (s-e-t-t-e) stelle Michelin cucite sul camice bianco come medaglie.

Anche se fisicamente discontinuo, l’apporto al ristorante sivigliano (aperto 9 mesi fa) si concretizza nella riproduzione dei piatti storici. Qui dunque, a oltre 900 km di distanza dal locale che gli ha dato 3 stelle Michelin, 6 portate su 8 sono le stesse del menù degustazione servito dal Martin Berasategui di Lasarte, nei Paesi Baschi, però ad un prezzo praticamente dimezzato: 1) Uovo di fattoria, barbabietola, insalata liquida di erbe e carpaccio di bollito sapori primordiali, oggi un manifesto della cucina creativa, 2) Piccione allo spiedo con osso di pasta fresca, fungo all’erba cipollina e note di crema di tartufo, ma soprattutto, in apertura, il suo signature dish: Millefoglie caramellato di foie gras, anguilla affumicata, cipollina e mela verde.

Ci vuole sempre qualche momento per capire lo straordinario. Poi, eccomi felice come un bambino. Forse le 7 stelle Michelin son tutte qui, cucite una dopo l’altra per questo voluttuoso crescendo.

Il servizio rasenta la perfezione, l’attesa dei piatti non dura mai un secondo più del dovuto anche se la sala è quasi piena. Anche per questo si perdona un dessert anonimo come il soufflé di cioccolato (ancora!) con gelato di cannella. Esco contento nonostante il centone omnicomprensivo lasciato sul tavolo. Pensando a cosa succederebbe in Italia se Vissani oltre che a Baschi fosse in Piemonte o se esistesse una replica dell’Osteria Francescana a Milano. Chissà, tra l’altro, se 6 piatti su 8 sarebbero gli stessi della casa madre.

[Crediti | Link: Cibario, Passione Gourmet, immagini: Giampiero Prozzo]