Cosa penso mentre mangio il ventunesimo piatto di un menu degustazione da 22

Cosa penso mentre mangio il ventunesimo piatto di un menu degustazione da 22

Mi trovo a Shanghai, dove ho appena terminato uno dei più ambiziosi e monumentali menu degustazione che la storia dell’uomo ricordi: le 22 portate di Ultraviolet, ristorante teatrale dello chef francese Paul Pairet, al numero 8 della classifica San Pellegrino & Acqua Panna per l’Asia (inserisco il riferimento alla 50 Best Restaurants solo per irritarvi? Buona domanda. Ogni tanto me lo chiedo anch’io).

Per dare un tocco di eroismo all’impresa, aggiungo che è risultato impossibile prenotare uno dei soli 10 posti disponibili ogni sera in sala, ma lo chef mi ha proposto in alternativa di fare l’intero percorso di degustazione direttamente in cucina, in piedi in un angolo (rapida FAQ: ha richiesto alcune ore, è stato bellissimo, ne scriverò ancora a digestione ultimata).

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La prospettiva di un menu di 22 portate è elettrizzante nel corso del tragitto in taxi verso il ristorante, promettente all’arrivo del primo amuse-bouche, sconcertante al decimo piatto, terrorizzante al sedicesimo. Al ventunesimo, occhio pazzo del subacqueo.

Di seguito, riportati in ordine sparso, i pensieri che mi hanno attraversato la mente al ventunesimo piatto, ovvero “Le Mont-Blanc Snow-Blow, Yakult e fiori d’arancio”.

— Non avrei mai dovuto mettere un vestito attillato. A questo punto della serata sembro un modellino anatomico di quelli che si possono aprire e smontare così da osservare gli organi interni. Ecco qui, studenti, uno stomaco umano. Osservate come esso protrude.

— Il sous-chef Greg Robinson mi ha appena detto che due ospiti hanno pianto calde lacrime di commozione mangiando questo piatto. La vera ragione della loro prostrazione rimarrà un segreto tra me e loro.

— D’accordo, sono arrivata a Shanghai ieri e la cucina cinese è una delle mie grandi passioni quindi passi per l’enorme pranzo cantonese che mi sono inflitta solo qualche ora fa. Ma non ho davvero scuse per aver mangiato il gelato a colazione.

— Vorrei che la mia lapide recasse la scritta “più della fame poté la piccola pasticceria”.

— “Se da bambino amavi gli spaghetti gelato al sugo di fragole, da adulto adorerai Camouflage: una lepre nascosta nell’erba, piatto culto di Massimo Bottura”.

— Il precedente è il titolo provvisorio della mia autobiografia.

— Oppure “Non ho mai voglia di scrivere, tranne quando ne ho voglia. Un’autobiografia, ma sofferta”

— Quel mio ex che dichiarava di non trovarmi divertente dovrebbe vedermi ora, mentre compongo nella mia mente brillantezze assortite nonostante lo spaventoso jet lag, il raffreddore e i 21 piatti sul groppone.

— Bilanci amari: 6 anni a studiare cinese e a quanto pare l’unica frase che pronuncio con scioltezza in mandarino è: “Per favore me ne porti un’altra bottiglia”.

— Cosa avrà voluto dire il sous-chef quando mi ha detto “mi piace il modo in cui mangi, you don’t overthink it, non ci pensi su troppo”? Temo intenda: “Ho visto orsi bruni al risveglio dal letargo sbranare pecore con meno voracità”.

— Al prossimo che mi dirà che non mangia nei grandi ristoranti perché si esce affamati toccherà il trattamento Seven: lo lego alla sedia e gli ordino il degustazione lungo finché non chiede pietà.