La pausa pranzo non può costare 25 euro: qualcuno ci pensi

La pausa pranzo non può costare 25 euro: qualcuno ci pensi

Si è molto tornati a parlar di trattorie e la cosa non può che farmi piacere: adoro le trattorie in tutte le loro cinquanta sfumature. Poi, in realtà, nel mondo gastronomico contemporaneo si intendono per “trattorie” i ristoranti informali che fanno cucina d’impronta tradizionale ammodernata: in sostanza quel che da vent’anni Slow Food chiama “osterie” nelle grandi città. Trippa a Milano, per capirci; il Consorzio di Torino, per capirci ancora (che ha undici anni, quindi ormai è un new-classic).

Posti adorabili, tra i miei preferiti, dove con quaranta euro si mangia alla grande, talvolta a pranzo anche con la metà. Locali allegri, senza rigidezze, con ottime materie prime, cuochi che sanno il fatto proprio che giocano con le ricette d’un tempo, carte con birre artigianali e vini naturali. Insomma: gli indirizzi che stanno facendo le scarpe al fine dining di medio cabotaggio.

Viva. Benissimo. D’accordo. Assodato.

Però dalla coperta mi rimangono fuori i piedi: ma a chi mangia fuori tutti i giorni in pausa pranzo, che consigli dà la critica? Praticamente nessuno. Cioè, milioni di italiani pranzano quotidianamente nei locali del nostro paese – milioni, per miliardi di fatturato annuo – e la critica, semplicemente, se ne impippa.

Ho l’impressione che l’atteggiamento sia: è impossibile che sotto gli otto euro qualcuno ti dia da mangiare cibo commestibile; non è nostro compito rimestar nel torbido.

E invece no. È sbagliato e falso. Sbagliato perché poi allora non lamentiamoci se la gente va a mangiare nei fast-food o i “piattini” scaldati nei bar. Falso perché grazie ai volumi, al lavoro serio, all’oculatezza e a tanti sacrifici ci sono locali quotidiani che riescono a pascere i lavoratori a prezzi bassi con qualità non eccelsa, ma più che dignitosa.

Quasi nessuno in Italia si può permettere di spendere tutti i giorni 25 euro a pranzo. Quasi nessuno. I ticket e la disponibilità in genere si assestano attorno agli otto euro. Bene: io vorrei che la critica si prendesse questa responsabilità, quella di dividere il grano dalla crusca nella fascia di prezzo bassa.

Se ribadisci ai lettori che da Beck si mangia bene, il servizio che rendi loro è pressoché nullo. Se invece spieghi loro che alla trattoria dietro all’angolo del bar temibile si mangia franco ed espresso, gli cambi la vita.

Forse se le guide gastronomiche tornassero a servire alle persone, potrebbero avere qualche chance di sopravvivere. Forse.