Quando gourmet vuol dire dramma: il villaggio-vacanze

E cosa ci vuole a trascorrere le proprie vacanze in posti esclusivi? A fare gli eno-gastro-snob durante le ferie? Si sa, i wi-fu addicted hanno redditi medio-alti, un buon curriculum studiorum, gusti – ecco una parolaccia – di “nicchia”.  A tutti costoro – a tutti voi – dedico questo post. A chi cena nei ristoranti da due stelle in su, a chi dà i voti anche all’igiene dentale del maitre di sala, a chi fa i gargarismi con l’acqua Evian e ha fatto propria l’ultima frontiera dell’abbinamento cibo-tè, io chiedo: avete mai mangiato in un villaggio-vacanze con la formula all inclusive?

Ecco, io si.

La bellezza impiattata del trash non si spiega, però attizza. Ti viene in mente l’America del boom economico 50 anni dopo, con tutta quell’abbondanza. Gesù, con il suo miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, sarebbe impallidito. Per chi nasce la formula all inclusive? Per le madri di famiglia. Verso marzo-aprile le signore comunicano ai mariti che vogliono andare al mare, ma che non hanno voglia di spadellare, che anche loro hanno diritto a due settimane di riposo assoluto. Quindi niente fornelli. Ci pensa il cuoco salvifico del villaggio-vacanze a metterti all’ingrasso. Tanto la mattina c’è il risveglio muscolare in spiaggia organizzato dai ri-animatori.

Succede in centinaia di posti in Italia. A me è accaduto in Salento, una settimana nel Residence Torre Rinalda a seguito di una madre che, per l’ appunto, voleva essere servita e riverita.  40 euro al giorno per un tetto sulla testa e tre pasti. Colazione ore 7.30-9.30; pranzo ore 13.00 – 14.30; cena ore 20.00 – 21.30. 200 coperti circa, frotte di bimbi in stile libro della giungla. Consegnati in loco da un bus partito da Napoli, braccialettati (sistema di riconoscimento all’interno del villaggio) e resi stanziali dall’assenza di auto.

Abbandonata l’idea di scoprire le bontà culinarie salentine decantate dall’editor Tomacelli mi sono arresa alla cucina basica del Torre Rinalda. Basica nel senso che rispetta i canoni dell’abecedario della cucina italiana: pane, pasta, pesce, verdure, frutta, colazione all’italiana. Rigorosamente vietato il salato appena svegli. Fin qui, tutto bene. A sparigliare è l’esecuzione con un pout pourri di ovvietà: pennette panna e funghi, trenette al pesto, lasagne, risotto alla pescatora, tonno e/o salmone alla brace o marinati (ma tra Adriatico e Ionio non c’è niente di meglio?), fritto di paranza, piselli e prosciutto, patate al forno, insalata, tiramisù, creme caramel. Patatine fritte sempre disponibili per i minori, accompagnate non dalla classica cotoletta, ma dal più contemporaneo cordon bleu.

Cosa avrei dato per una frisa. Pensavo agli ulivi secolari che circondavano la tenuta vacanziera e all’olio di oliva che invece servivano al tavolo. Guardavo mia madre riposare le membra e avrei voluto dirle: se ti pago mi fai da cuoca personale per i prossimi giorni?. Almeno bere, tornare alticci in branda senza lo spauracchio del palloncino (tanto non si esce dal villaggio!)? Macchè.

Vino bianco e rosato alla spina, alcol max 12%  con l’etichetta “Vini Terre di Barocco”, credo della società Mebimport. Di farvi la degustazione non ci penso proprio. Accontentatevi della foto.

[Fonti: Residence Torre Rinalda, Wikipedia, YouTube]