In agricoltura poco meno di un lavoratore su cinque (il 18%, a essere precisi) è di origine straniera. Si tratta di quanto emerso dal più recente rapporto redatto dalla fondazione Leone Moressa, che ha preso in esame la presenza e l’integrazione dei cittadini stranieri nel mercato del lavoro italiano. A oggi, secondo i dati, gli stranieri regolari sono di fatto 5,2 milioni, pari all’8,8% della popolazione complessiva, con una concentrazione nettamente più alta nelle regioni del Centro Nord dove, naturalmente, è anche più rilevante il contributo all’economia locale.
Come già accennato il settore in cui si riscontra la maggiore percentuale di occupati stranieri è quello dei servizi (45,8%), specialmente quelli alla persona; anche se di fatto i comparti con la maggiore incidenza rimangono la sopracitata agricoltura (18,0% del settore), edilizia (15,5%) e ristorazione (15,3%). Interessante notare, per di più, che i lavoratori stranieri sono di fatto quelli rimasti più penalizzati dalla pandemia in quanto, tendenzialmente, più precari: nel 2020 il tasso di occupazione degli stranieri è diminuito di oltre 4 punti, scendendo per la prima volta al di sotto di quello degli italiani. A oggi il tasso di occupazione si tiene sul 57,8%, leggermente inferiore rispetto a quello degli italiani (58,3%).
Segnaliamo, infine, che il cosiddetto Il “PIL dell’immigrazione” nel 2021 ammonta a quasi 144 miliardi, pari al 9,0% del totale nazionale – una ricchezza che come accennato è principalmente concentrata nel mondo agricolo. Secondo i ricercatori della Fondazione Leone Moressa, “nonostante l’emergenza Covid abbia colpito fortemente i lavoratori immigrati, in quanto più precari rispetto agli italiani, il contributo dell’immigrazione in Italia continua ad essere fondamentale in molti settori. In questo senso, dovrebbe essere prioritario favorire gli ingressi legali e contrastare l’irregolarità”.