Nel mare agitato dei continui cambiamenti in materia di dazi, dopo l’accordo tra Trump e von der Leyen c’è qualcuno che, almeno in parte, può gioire. La nuova intesa tra Stati Uniti e Unione europea ha infatti appianato gran parte dei dazi stabilendo una percentuale unica del 15%, valida su una serie di prodotti, inclusi quelli agroalimentari. Per il Parmigiano Reggiano significa tornare alla cifra imposta fin dagli anni ’60; ma non tutti i formaggi possono stappare una bottiglia per festeggiare – una bottiglia con tasse quintuplicate rispetto a inizio 2025.
A quanto ammontano i nuovi dazi sui formaggi?
Fra tutti i prodotti gastronomici esportati dallo Stivale agli States, ce ne sono alcuni (pardon, ce n’erano) che per ragioni storico-commerciali ricevevano un trattamento preferenziale. È il caso, ad esempio, del Pecorino Romano, che entrava sul territorio a stelle e strisce senza pagare neanche un dollaro di tasse doganali.
Altri non attraversavano il confine con la stessa gratuità, ma se la cavavano comunque discretamente, come i formaggi freschi (tariffa doganale del 10%) e quelli stagionati (15%). L’introduzione delle nuove regole imposte dallo scorso 9 aprile aveva addizionato tutte queste cifre di dieci punti percentuali – tanto per capirci, la mozzarella era passata dal 10% al 20%. Ma il recente accordo di Turnberry tra Ursula von der Leyen e Donald Trump rimescola tutte le carte in tavola.
L’intesa, per il momento (la partita non è ancora finita), stabilisce una percentuale grosso modo fissa del 15% per molti prodotti, alimentari e non. Se è un bene o un male, dipende dal singolo protagonista. Non c’è granché da festeggiare per il mondo del Pecorino, che da zero si ritrova con dazi del 15%; ma il settore del Parmigiano può tutto sommato ritenersi soddisfatto, poiché di fatto tornerà alla tariffa precedente del 15%.
Il mercato a stelle e strisce, tra l’altro, non è proprio una nocciolina per l’export caseario: proprio il Pecorino, che si è visto privato dei suoi privilegi, conta sugli Stati Uniti per un terzo della sua produzione annua. Non tanto più bassi i numeri dello stagionato emiliano, per cui gli USA sono il primo mercato di esportazione.