Brexit: cosa cambia per il cibo italiano?

Cosa cambia con la Brexit per il settore alimentare italiano? Che impatto avrà sulle nostra tavole la decisione degli inglesi di uscire dall'Unione Europea? Scopriamo insieme le conseguenze principali

Brexit: cosa cambia per il cibo italiano?

Chiamarlo Brexit è stato di pessimo auspicio. Il referendum che ha chiesto ai cittadini britannici di restare o uscire dall’Unione Europea ha dato il risultato, inatteso, che sapete.

Nonostante i 7 punti di vantaggio attribuiti dai sondaggi ai sostenitori del remain, il Regno Unito è fuori. I separatisti non sembrano aver fatto i conti con un tema economico importante: il libero scambio dei prodotti alimentari. Insomma, hanno agito di pancia ma senza pensare alle ragioni della pancia.

Potrebbero faticare, per esempio, a trovare sugli scaffali dei supermercati o nei grandi ristoranti le molte specialità italiane finora disponibili. I numeri parlano chiaro: abbiamo nel Regno Unito il quarto sbocco estero per il nostro comparto alimentare con un valore delle importazioni che supera i 3 miliardi di euro.

Il problema principale diventa rinegoziare i rapporti commerciali con l’UE. In assenza di agevolazioni su dazi e scambi gli inglesi potrebbero innalzare barriere doganali, cosa che avrebbe una ricaduta pesante sulle vendite del migliore Made in Italy alimentare.

prosecco

Proprio nel 2016 la Gran Bretagna è diventata il primo mercato mondiale per lo spumante italiano, in particolare per il Prosecco, e con la Brexit l’export potrebbe essere a rischio. Di sicuro nell’immediato i vini italiani diventeranno più cari, come quelli importati da Francia e Spagna.

Discorso simile per i formaggi. Sulle tavole inglesi il 62% dei formaggi e addirittura il 98% dei derivati arrivano da paesi Ue.

Le esportazioni italiane, cresciute del 7,8% nel 2015 rispetto all’anno precedente, riguardano soprattutto mozzarella, Parmigiano Reggiano, Grana Padano e gorgonzola, tutti prodotti che diventeranno meno reperibili e costeranno sicuramente di più.

Con la vittoria del Leave costerà di più anche l’ortofrutta, specie pomodori e agrumi che la Gran Bretagna importa soprattutto da Spagna e Italia.

Per le specialità artigianali dei nostri piccoli produttori sarà più complicato confermarsi sugli scaffali di Harrods, Selfridges o Whole Foods e chissà se celebrità della tivù come Nigella Lawson, Antonio Carluccio, Gennaro Contaldo, Gino D’Acampo o lo stesso Jamie Oliver, tutti influenti testimonial dell’italian style in cucina, saranno costretti a modificare le loro ricette perché la materia prima italiana scarseggia o costa troppo.

Anche viste al contrario le conseguenze della Brexit non appaiono molto promettenti.

Che ne sarà delle sessanta e oltre PDO britanniche (protected designation of origin, il corrispondente delle nostre DOP)?

stilton

Qualche giorno fa la rivista americana New Repubblic azzardava pronostici abbozzando un quadro apocalittico: senza più la protezione della Ue finirà il Blue Stilton come lo conosciamo. Immaginatevi casari improvvisati in ogni parte del mondo pronti ad imitare lo splendido formaggio erborinato britannico con annessa la pretesa di mantenerne il nome in etichetta.

Non è proprio così. Dal 2006 (reg. 510) l’Ue riconosce e tutela anche le DOP e le IGP dei Paesi terzi, a patto che ne chiedano la registrazione secondo le regole comunitarie. Quindi lo Stilton continuerà a essere prodotto solo ed esclusivamente in Derbyshire, Leicestershire e Nottinghamshire.

C’è da chiedersi però, a proposito di come la Brexit cambierà le nostre tavole, se sandwich, fish & chips e pudding diventeranno da oggi cibi “etnici”.

L’idea di trovarli accanto a falafel e goulash in un qualche festival sullo street food fa sorridere. Amaro.

[Crediti | Link: New Republic]