In Italia ne consumiamo sempre di più, nonostante la diretta correlazione con malattie e obesità sia ormai ampiamente dimostrata, e nuovi ulteriori studi lo confermino: parliamo degli alimenti ultra-processati (UPF), bevande zuccherate, snack confezionati e cibi da fast food che sono rappresentano una percentuale sempre maggiore della nostra alimentazione.
Dagli Stati Uniti, dove questi prodotti rappresentano quasi il 60% delle calorie consumate dagli adulti e quasi il 70% di quelle dei bambini, arriva una nuova ricerca che mette in luce un costo nascosto per la nostra salute: un aumento significativo dell’infiammazione sistemica.
Il nuovo studio sugli alimenti ultra-processati
Uno studio della Florida Atlantic University ha stabilito un legame diretto tra un elevato consumo di UPF e livelli più alti di proteina C-reattiva ad alta sensibilità (hs-CRP), un indicatore chiave dell’infiammazione e un forte predittore di malattie cardiovascolari: come spiega il co-autore Dr. Charles H. Hennekens, “la proteina C-reattiva è prodotta dal fegato e il test della proteina hs-CRP è una misura semplice, economica e altamente sensibile dell’infiammazione, nonché un predittore affidabile di future malattie cardiovascolari”.
I risultati, pubblicati su “The American Journal of Medicine”, sono chiari: le persone che ricavano dal 60% al 79% delle loro calorie giornaliere da UPF hanno una probabilità dell’11% più alta di presentare livelli elevati di hs-CRP rispetto a chi ne consuma meno.
L’autrice senior dello studio, la Dott.ssa Allison H. Ferris, riassume l’importanza di questi dati: “questi risultati, basati su un campione ampio e rappresentativo a livello nazionale di adulti statunitensi, dimostrano chiaramente che le persone che consumano le maggiori quantità di alimenti ultra-processati hanno livelli significativamente più alti di proteina C-reattiva ad alta sensibilità, un marcatore chiave dell’infiammazione”.
I rischi non si fermano qui; un alto consumo di UPF è già stato associato a obesità, cancro, problemi di salute mentale e morte prematura, e i ricercatori notano anche un possibile legame con l’aumento dei tassi di cancro del colon-retto, soprattutto tra i giovani adulti.
Per cercare di affrontare la situazione, gli autori tracciano un parallelo con l’industria del tabacco, suggerendo che serviranno decenni di sforzi per contrastare l’influenza delle grandi aziende alimentari. Il Dr. Hennekens avverte: “le multinazionali che producono alimenti ultra-processati sono molto influenti, proprio come lo erano in passato le compagnie del tabacco, quindi i cambiamenti politici per promuovere cibi integrali e ridurre il consumo di UPF potrebbero richiedere tempo”.