Davvero non riusciamo a pubblicizzare la cucina romana con un po’ più di eleganza?

L'Associazione abitanti centro storico si ribella contro le brutture della ristorazione romana: "un orrore, bisogna intervenire seriamente"

Davvero non riusciamo a pubblicizzare la cucina romana con un po’ più di eleganza?

L’immagine ormai è talmente comune che quasi non ci si fa più caso, ma girare per il centro di Roma è diventato ormai un assalto alla vista e al buon gusto, tappezzato com’è di invadenti cartelloni plastificati (e non certo freschi di stampa), che immortalano gigantografie di carbonare, pizze ed esempi di quella generica cucina italiana acchiappa-turisti, ormai talmente intrusivi da arrivare ad impedire di apprezzare le bellezze della capitale.

Non solo, con l’evolversi della tecnologia si evolve anche il cattivo gusto, e ora siamo arrivati a totem con immagini animate che pubblicizzano i piatti serviti all’interno dei locali: davvero troppo, tanto che Viviana Di Capua, combattiva presidente dell’Associazione abitanti centro storico, ha sollevato la questione sull’edizione romana del Corriere della Sera, affermando che si tratti di “un orrore, bisogna intervenire seriamente”.

Sempre più brutto

roma menu

Secondo Di Capua, tra gli aspetti più “antipatici” della diffusione di messaggi pubblicitari si nota la presenza di una new entry: i “dazebao luminosi installati fuori dai locali sui quali scorrono le immagini dei piatti proposti nel menù”. Immaginatevi di stare passeggiando per Roma e trovarvene uno davanti che cerchi di convincervi a entrare nel ristorante che l’ha installato, sbattendovi in faccia un’enorme cacio e pepe retroilluminata.

A Roma “in un palazzo d’epoca dal grande valore artistico” apre un gigantesco KFC A Roma “in un palazzo d’epoca dal grande valore artistico” apre un gigantesco KFC

Un esempio particolarmente lampante è stato immortalato a Trastevere, dove su un totem di fronte a un’osteria si alternano le immagini in movimento di una gricia fumante, una tipica crostata di ricotta e visciole e una meno tipica pizza quattro stagioni . La presidente dell’Associazione li definisce “invasivi e assolutamente inutili laddove è già un’invasione di fiori di plastica, botti, tavolini con sopra il cornetto o un piatto di tagliolini cacio e pepe attorniati da nugoli di vespe, per non parlare delle tende ovunque”.

Il risultato complessivo è preoccupante: “Il colpo d’occhio è da brividi: ormai oltre a essere degradante per il paesaggio offende la buona cucina nuocendo alle poche attività che cercano ancora di offrire cibo di qualità”, una situazione esasperata anche dai sempre più numerosi menu giganti montati sui cavalletti, vietati, come sottolinea l’Associazione, siano “vietati dal Codice degli arredi”.

Degrado commerciale e strumenti inefficaci

roma

A questo degrado estetico, sembra corrispondere parallelamente un impoverimento del tessuto commerciale del Centro. Di Capua lo esemplifica nella chiusura di “Frullati Pascucci” in via di Torre Argentina, un punto di riferimento sin dagli anni Sessanta per generazioni di ragazzi, inclusi gli studenti del vicino liceo Visconti, che è stato rimpiazzato dall’ennesimo negozio di souvenir: “dal I Municipio era partita la determina di chiusura ma  -sottolinea Di Capua- il giorno dopo l’attività ha riaperto…”. Un segnale inequivocabile che evidenzia che “gli strumenti sono inefficaci, è evidente”.

Di Capua ha le idee molto chiare sul da farsi: “penso sia arrivato il momento di mettere mano a questa organizzazione che sta sostituendo tutte le attività storiche per rimpiazzarle non negozi di paccottiglia. C’è un sistema che va debellato, bisogna intervenire seriamente”.

Riqualificare Roma Termini non significa sterilizzarla: l’esempio di Sfizio, il ristorante contro la gentrificazione Riqualificare Roma Termini non significa sterilizzarla: l’esempio di Sfizio, il ristorante contro la gentrificazione

Viene inoltre da chiedersi se questi “strumenti di marketing” -chiamiamoli così- siano efficaci per i ristoratori che li utilizzano, dando evidente prova di puntare più sulla rumorosità della propria comunicazione che sulla qualità della propria offerta gastronomica: davvero in un’epoca in cui si parla di cibo 24 ore su 24 e su tutte le piattaforme ci sono ancora avventori sufficientemente sprovveduti da cadere nella più classica delle trappole per turisti? E se anche, per assurdo, dovessimo immaginare che in questi locali si faccia cucina eccellente, non si può proprio fare nulla per dare all’immagine della cucina romana, e alla ristorazione capitolina, un po’ più di eleganza?