Un palazzo dogale trasformato in un grande macello, con sanguinolente carcasse di maiale che pendono inerti dal soffitto: un’interpretazione coraggiosa ma che, com’era forse prevedibile, ha suscitato critiche decisamente aspre tra i più tradizionalisti. Ci riferiamo a quanto capitato al Festival Verdi durante la messa in scena di Simon Boccanegra, proposto nella rara prima edizione composta nel 1857: la regista Valentina Carrasco ha presentato al pubblico una lettura decisamente provocatoria ma che, come accennato, ha finito per essere accolta da fischi e spezzata dal grido “Verdi non era un macellaio”.
Un “disastro” annunciato? Difficile dirlo. A onore del vero l’esecuzione è stata pressoché impeccabile, tant’é che il pubblico (lo stesso che abbiamo appena dipinto come urlante e stizzito) ha accolto gli interpreti con calorosi applausi. Le critiche sono infatti state riservate alla regista, Valentina Carrasco, e ai suoi collaboratori, apparentemente rei di avere proposto un’interpretazione troppo “aspra” e spiazzante. Analizzando le note sul programma si può apprendere che Carrasco vede il Simone come un’opera di potere, dove scorre il sangue degli innocenti: da qui l’idea del palazzo dogale inteso come macelleria, simbolo dell’esercizio del potere attraverso la violenza – potere che, come potrebbe sostenere Sciascia, corrompe sempre. Il giudizio del pubblico, tuttavia, è inequivocabile: calorosi applausi agli interpreti sul palco, fischi e urla per Carrasco e collaboratori.