È un racconto a cuore aperto quello di Gabriele Bonci con Luca Casadei, nel podcast One More Time. La storia di una vita che passa dall’infanzia tra le case di via degli Adelardi in zona Bravetta a Roma, al tentato suicidio nei periodi bui della depressione. E così, al microfono di uno dei podcast più ascoltati del momento in cui Casadei intervista personaggi dello spettacolo e dell’imprenditoria per parlare di successi, riscatti, ma anche fallimenti, il gigante buono che ha rivoluzionato il mondo della pizza italiana dimostra di essere ancora più grande di quanto possa essere la sua stazza fisica. Gabriele Bonci è grande non solo per il successo imprenditoriale e per il riscatto che ha portato, primo fra tutti, in questo settore, ma perché, in primis, ha deciso di affrontare le sue debolezze e di condividerle con gli altri. È la grandezza di un uomo che sa riconoscere gli errori prima che diventino sbagli, che sa chiedere aiuto, che sa guardarsi allo specchio sapendo di essere in continua evoluzione, di voler diventare farfalla “per vivere un giorno solo, ma bene”, commenta.
Aveva già anticipato il suo racconto, ma in modo diverso, nella puntata di Chef’s Table che Netflix gli ha dedicato pochi mesi fa; lo ha fatto in modo diretto, senza peli sulla lingua davanti al microfono di Casadei parlando di riscatti e di successi, ma anche di come la morte non gli faccia paura. “Ci ho anche giocato con la morte. Ho mangiato sonniferi – racconta – e mi sono messo a dormire su una finestra, un cornicione al nono piano. Ringraziando Dio la mattina stavo ancora su quel cornicione, ma se poco poco mi giravo, mi sarei fatto nove piani. E lì un po’ mi ha messo paura”.
Il successo, la caduta, il riscatto
E in poco meno di un’ora di dialogo ai microfoni di One More Time emerge il Bonci uomo: da quel bambino sempre colpevole di tutto, a quell’uomo adulto che continua a guardare il mondo con gli occhi di chi è in continua crescita: “La mia sofferenza – dice – si vedrà sempre perché sono ancora in gestazione. Sono come le farfalle: sono la cosa più bella al mondo, ma provengono da un grande dolore e io, oggi, sono felice nel mio dolore”.
Gabriele Bonci nasce a Roma nel 1977, in un quartiere difficile in cui tutti si aiutano per sopravvivere. Il primo ricordo legato a una pizza risale all’età di 4 anni quando guarda quella preparata dalla mamma per Pasqua e trascorre la notte ad osservare la sua lievitazione, rapito da una magia che ancora non conosce. Decide di fare il cuoco, frequenta l’alberghiero dall’altra parte della città che raggiunge tutte le mattine alzandosi alle 4:30 e cambiando quattro autobus. Terminate le lezioni, lavora in pasticceria fino a sera e lo fa tutti i giorni per aiutare la famiglia e, ammette, per comprarsi un motorino. Poi il diploma e il lavoro al Simposio dell’Enoteca Costantini, gestito da Arcangelo Dandini dove resta cinque anni. A 21 anni ottiene 81 punti sulla guida del Gambero Rosso e viene decretato il quarto cuoco di Roma, la grande promessa della ristorazione, ma lui molla, Dandini chiude e Bonci cerca luoghi diversi dove fare strada. Pensa alla pizza e con 500 euro, l’ipoteca sulla casa dei genitori e un mutuo di 40 mila euro apre il suo locale che si chiama Pizzarium perché non ha i soldi per cambiare l’insegna (siamo nel 2003).
Per due anni è un disastro: guadagna 70 euro al giorno, la sua pizza in teglia non viene capita. Precursore di materie prime locali, farine e impasti differenti, preparazioni che guardano al mondo dell’alta cucina ma che si rivolgono al popolo: non è facile essere compresi. Poi Il Sole 24 Ore, con un articolo di Davide Paolini, lo mette in vetta alla classifica delle prime cinque pizzerie d’Italia ed è il successo. “Arrivano i clienti, inizio a incassare, a pagare i debiti. Hai la fila – prosegue – e inizi a crederci: stai cambiando la pizza e quando il tempo traccia un disegno, hai fatto l’eternità”. E con il successo arriva la chiamata a La Prova del Cuoco, nel 2010 guidata da Elisa Isoardi: entra negli studi Rai per una puntata, ci resta dodici anni. Nel 2012 apre il panificio e per diciotto anni tutto quello che guadagna lo investe nell’impresa: dona dignità nel lavoro ai dipendenti, costruisce un’azienda etica: “Rispetto il prezzo della pizza, del prodotto. Se i miei dipendenti – aggiunge – hanno dignità nella vita, paghi la dignità della pizza”.
Intanto si sposa, nascono due figli, il successo diventa internazionale con locali aperti anche negli Stati Uniti. Poi arrivano i momenti bui, la separazione, la dipendenza dalla cocaina, il tentato suicidio. “Da gennaio 2022 sono pulito – racconta Bonci – e combatterò fino alla morte quella sostanza che è un demone. Adesso sto bene, sono nella mischia e nel tormento, sono centrato. Non voglio più il successo, non mi appartiene: è da donare agli altri per realizzare qualcosa. Il lavoro va bene, fattureremo credo più di 4 milioni di euro quest’anno, ma io voglio concentrare la mia vita su tre aspetti principali ambiente, agricoltura e sociale. Combatto in queste tre direzioni e voglio creare qualcosa di mio legato al mondo dell’agricoltura. La mia, del resto, è una pizza agricola e non può che evolversi”. Intanto, il successo, Bonci lo tramuta in bene come volontario della Onlus Capitano Ultimo a cui dedica tempo mettendo a disposizione il suo sapere.