I salmoni atlantici sono in botta di ansiolitici, e forse non è solo un male

I fiumi sono pieni di salmoni in botta. L'impressione è che se la godano (e che porti anche benefici), ma gli scienziati mettono in guardia: non tutto è oro quel che luccica.

I salmoni atlantici sono in botta di ansiolitici, e forse non è solo un male

La verità, più o meno sorprendente, è che i mari sono pieni di pesci strafatti: metanfetamina, antidepressivi, cocaina – chi più ne ha più ne metta, e se avanza dello spazio mettiamoci un bel ripieno di microplastiche. Com’è possibile, dite voi? Ma è semplice: rilascio di rifiuti chimico-farmaceutici nell’ambiente e conseguente contaminazione. L’ultima notizia è che i salmoni atlantici sono in botta da ansiolitici.

Risalire una corrente contraria non era abbastanza, a quanto pare – mancava l’inquinamento a fornire un ulteriore ostacolo al ciclo di riproduzione. Peccato che, a quanto pare, non si tratti veramente di un ostacolo. Parola alla scienza, dunque.

Salmoni in botta – come funzionano?

Moria pesci

Recentemente, i ricercatori hanno scoperto che quando un farmaco chiamato clobazam si accumula nel cervello dei salmoni, i nostri protagonisti riescono a raggiungere l’oceano in tempi minori e si rivelano tendenzialmente più abili nell’aggirare gli ostacoli di turno. Insomma, sulla carta pare un net positive, un tutto bene felici e contenti e ci godiamo la botta e se va bene ci si riproduce pure.

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Naturalmente non è così. Qualsiasi deviazione del normale comportamento dovuta all’attività umana, spiegano gli uomini di scienza, è un campanello d’allarme da non sottovalutare – specie quando la “deviazione” di cui sopra è legata a una sostanza psicoattiva. Un po’ di contesto: il clobazam, comunemente presente nelle acque reflue, appartiene a un gruppo di farmaci chiamati benzodiazepine, che deprimono il sistema nervoso centrale. Il farmaco viene utilizzato per prevenire le crisi epilettiche, per il trattamento a breve termine dell’ansia e per trattare i disturbi del sonno correlati all’ansia.

I pesci, complice un cablaggio neurale simile a quello di noialtri mammiferi, sono altamente sensibili agli effetti dei farmaci che alterano la neurochimica umana – e ci sono studi che ne hanno fornito prova tangibile. Basti ascoltare il Dott. Marcus Michelangeli, docente presso la School of Environment and Science della Griffith University nel Queensland, in Australia, che ha seguito – assieme al suo team – “l’intera migrazione dal fiume al mare di giovani salmoni in un sistema fluviale naturale, utilizzando concentrazioni di farmaco corrispondenti a quelle a cui i pesci sono effettivamente esposti nell’ambiente.”

L’esperimento ha coinvolto oltre 700 esemplari opportunamente tracciati mentre risalivano il fiume Dal fino al Mar Baltico. Il viaggio dura dai 10 ai 13 giorni, e comprende diverse serie di rapide e due dighe. I risultati parlano chiaro: i salmoni in botta da clobazam raggiungevano la destinazione prima e più di qualsiasi altro collega, con un rateo di due a uno rispetto al gruppo di controllo (ossia “sobri”, per così dire).

Esperimenti di laboratorio hanno dimostrato che il clobazam influenzava il comportamento di branco, in cui i pesci tendevano a radunarsi per sfuggire ai predatori; spingendoli a nuotare più distanti l’uno dall’altro anche in situazioni di pericolo. Il farmaco, in altre parole, stava inibendo le naturali risposte di paura. Ma attenzione: anche se i risultati, come visto, sembrano a favore, questo non significa che i pesci “siano sani o che la popolazione ne tragga beneficio a lungo termine”, ha affermato Michelangeli.

“In sostanza, dobbiamo essere cauti con le nostre interpretazioni” ha concluso. “Cambiare il comportamento in relazione ai farmaci, anche involontariamente, potrebbe rimodellare intere popolazioni in modi che ancora non comprendiamo“.