Una cosa dobbiamo riconoscere a Burger King: quando vogliono avere pretese gourmet, sanno chi scegliere. L’iniziativa “Chef Masters”, che vede la catena di fast food collaborare con stellati Michelin di caratura internazionale è alla sua terza edizione e, dopo lo stellato di Tolosa Michel Sarran, e l’enfant terrible della cucina spagnola Dabiz Muñoz, a questo giro sono andati a pescare un nome davvero interessante.
Si tratta di Paul Pairet, talento cosmopolita riconosciuto da Alain Ducasse e ideatore di una sfilza di insegne di successo a Shanghai, culminate con l’esperienza di Ultraviolet, locale da un solo tavolo e dieci coperti concepito per coinvolgere i commensali in un “immersive dining” in cui musica, immagini, suoni e odori erano studiati per accompagnare il percorso di 20 portate.
Pairet ha ideato cinque ricette, tre hamburger, un toast e un gelato, con l’idea di portare i clienti di Burger King in un viaggio in giro per il mondo, dalla Francia al Giappone.
Burger King a tre stelle
“L’obiettivo era viaggiare attraverso le ricette, ognuna delle quali riflette un momento della mia vita”, ha dichiarato Pairet, che ha chiuso il suo tristellato Ultraviolet a marzo di quest’anno dopo 13 anni, dichiarando di “aver dato tutto” e di avere “in mente una cucina più ordinaria”: si può dire che si stia mantenendo fedele alla sua idea, passando dalla cucina esperienziale al fast food.
Tre quindi gli hamburger elaborati dallo chef che per primo ha portato le tre stelle Michelin a Shanghai, ognuno rappresentativo di un paese e di un momento della sua vita: si parte, ovviamente, dalla Francia, con il “Master du Chef Poivre“, hamburger di carne francese con tortino di patate, Cheddar (non molto in tema, a ben vedere) e una salsa al pepe.
La seconda tappa è il medio oriente, con il “Master du Chef Falafel”: carne francese, un patty di falafel, una citronette al sesamo ed erbe, insalata di cavolo, cipolle e pomodoro con pan brioche alle spezie, e il giro si conclude in Giappone col “Master du Chef Poulet”, con pollo fritto, una salsa al sesamo e agrumi e una allo zenzero, e insalata di cavolo, tutti e tre i panini sono proposti a 10,90€.
A completare la proposta lo “Chef’s Petit Toasté”, un croque-monsieur al bacon con salsa al pepe (che sembra essere un tema ricorrente) a 3,90€ e il “King Fusion du Chef”, gelato alla vaniglia con pistacchio e corn flakes.
Presentata l’iniziativa, è venuto ovviamente il momento di affrontare l’elefante nella stanza: come può uno chef che ha dedicato la vita all’estremizzazione della qualità legare la propria immagine al cibo sinonimo di junk food? Troppo riduttivo pensare che, nel caso specifico, abbia troppo tempo libero dopo aver chiuso il suo ristorante, troppo malizioso credere che sia solo per fare cassa. La terza stella Michelin è d’altronde il Sacro Graal del personal branding per uno chef, e apre le porte a un mondo di opportunità e collaborazioni, che poi ognuno seleziona e affronta a modo suo.
C’è chi collabora con grandi gruppi del lusso, vedi Romito e Bulgari, chi prova l’ultrapop, vedi il predecessore di Pairet, Muñoz, che prima dei panini da Burger King aveva sviluppato della ciambelle estremamente cheap per Carrefour, e chi, come ad esempio il Bottura nazionale, si è buttato sì sugli hamburger, ma con Shake Shack, insegna decisamente più gastrofighetta di un McDonald’s qualsiasi.
Insomma, il fascino dei grandi numeri e di un pubblico più trasversale resta, così come quello di confrontarsi con le tecniche e le procedure proprie di una ristorazione su scala così ampia: “mi è piaciuto molto che siano venuti da me e mi abbiano offerto questo ponte tra fast food e gastronomia. Mi piace l’idea di cancellare i confini tra i mondi del cibo” ha dichiarato Pairet: chissà se dalle nostre parti qualcuno prima o poi deciderà di imitarlo.
L’ultima contaminazione tra alta cucina e fast food in Italia risale al 2011 quando il mai troppo compianto Gualtiero Marchesi creò due hamburger e un dolce per McDonald’s, con delizioso sdegno della critica gastronomica, sarebbe ora che qualcun altro accetti la sfida: chi scommette su un McCannavacciuolo?