Lewis Hamilton in Ferrari è (stato) un caso sportivo e mediatico. Basti pensare che ne abbiamo parlato anche su queste pagine, di solito riservate a tutt’altro mondo, quando si rumoreggiava di un possibile ingresso della sua tequila analcolica tra gli sponsor della Rossa.
A bocce ferme e motori spenti il pilota si è raccontato e ha raccontato questi primi mesi sotto il cavallino rampante di Maranello. Siamo a Londra, e più precisamente in un evento organizzato da Peroni Nastro Azzurro 0.0%: il sette volte campione del mondo parla di Formula 1, di retroscena, ma anche e soprattutto di cibo. O meglio: di pause pranzo.
La pausa pranzo in Ferrari
In casa Mercedes la regola – almeno pare – era di cene leggere, pasti veloci e gregari della performance. Non un ostacolo, ma un pit stop: fare il pieno (più o meno) prima di tornare ai posti di gara. Nella scuderia italiana tira un’aria diversa, racconta Hamilton: “A volte vado dai miei meccanici e mi chiedo: dove sono tutti? Sono a pranzo. Penso che siano l’unica squadra a farlo“.
Ma il nostro, badate bene, non si tira indietro: ogni giorno – racconta ancora – si ferma per sedersi a tavola con il team. È un rito, come lui stesso riconosce: “C’è letteralmente un momento programmato nella giornata, il pranzo, che [gli italiani] non possono mai, mai saltare”. Ma non è tutto.
Hamilton si dice spiazzato. Non solo per la liturgia del mezzogiorno, a dire il vero: “Gli italiani vivono il lavoro in modo diverso. È un’altra mentalità, è affascinante”. Vale la pena sottolineare, poi, che LH non è il primo britannico “in rosso” ad aver commentato le abitudini a tavola dei meccanici e del resto del team Ferrari.
Siamo nel 1987. John Barnard racconta che, appena arrivato a Maranello, gli viene chiesto come funzionasse il pranzo in McLaren. “Dissi che il pranzo in McLaren consisteva di solito in un caffè veloce e un panino, un quarto d’ora e poi tornavano tutti al lavoro. Alla Ferrari tiravano fuori le tovaglie e le bottiglie di Lambrusco“.