Una crisi dei costi sta mettendo a rischio la tenuta economica del settore della ristorazione collettiva italiana: un mondo sfuggente ma che opera in strutture essenziali come scuole, strutture socio sanitarie e luoghi di lavoro, i cui numeri sono impressionanti, arrivando a servire quasi un miliardo di pasti all’anno e dando lavoro a più di 100 mila professionisti.
L’ultimo tra gli operatori a lanciare l’allarme è Cirfood, che ha promosso il Summit della Ristorazione Collettiva per richiedere un patto sistemico tra tutti gli attori della filiera, al fine di “riconoscere il giusto prezzo ad un servizio di welfare pubblico essenziale per il nostro Paese”, come indicato nella nota diffusa.
I numeri della crisi

L’allarme lanciato dalle imprese è supportato da dati concreti: l’aumento dei costi di produzione, in particolare l’incremento delle materie prime alimentari, ha fatto registrare un aumento dei costi di oltre il 30% nel biennio 2022/2024. Una pressione sulle marginalità, unita alla mancata revisione dei prezzi negli appalti, che ha portato a conseguenze dirette e preoccupanti, tra cui gare per le mense scolastiche andate deserte (come nel caso di Firenze) e affidamenti per la ristorazione ospedaliera bocciati dall’ANAC per incongruità delle basi d’asta, come accaduto nelle Marche.
Il summit promosso da Cirfood si è posto l’obiettivo di creare un nuovo equilibrio che superi la logica del prezzo al ribasso. A tal fine, Vivenda Spa, un’azienda del Consorzio La Cascina che ha in gestione servizi di ristorazione collettiva in tutta Italia, propone “una riforma normativa che consenta l’adeguamento dei prezzi, obbligatorio e non su base discrezionale, in funzione delle dinamiche inflattive, preservando l’equilibrio contrattuale per la sua intera durata”.
I servizi di ristorazione collettiva sono afflitti anche da forti disparità territoriali e strutturali, come evidenziato da un’indagine di Cittadinanzattiva: il costo medio per una famiglia nella scuola primaria è di 86 euro al mese, equivalente a un costo medio annuale di 774 euro, ma le differenze regionali sono marcate: l’Emilia Romagna è la più costosa con 108 euro mensili, mentre la Sardegna è la più economica con 64 euro per la scuola primaria.
A livello di singolo capoluogo, le famiglie di Barletta spendono 2 euro per ogni pasto sia per l’infanzia che per la primaria, mentre le cifre più alte per la primaria si registrano a Livorno e Trapani, con 6,40 euro. Oltre al costo, l’accesso è limitato: solo una scuola su tre ha una mensa, e questa carenza è particolarmente drammatica al Sud e nelle Isole, dove poco più di un edificio su cinque dispone di una struttura atta ad erogare un servizio di ristorazione (22% al Sud, 21% nelle Isole), e gli interventi previsti per il PNRR non sembrano sufficienti per colmare il divario.
In un momento in cui il 23% delle famiglie è a rischio povertà, l’appello di Cittadinanzattiva è quello di potenziare il Fondo per il contrasto della povertà alimentare a scuola. Si attende inoltre l’impatto della riforma Isee, che sarà percepibile solo a partire dal prossimo anno educativo (a.s. 2025/2026) e che potrebbe influenzare le rette. Chiudendo il Summit, la Presidente Cirfood Chiara Nasi ha esortato a “trasformare le parole in azioni: dobbiamo costruire tavoli di lavoro stabili, mettere a sistema competenze e ruoli diversi e dare finalmente il giusto prezzo a un servizio di welfare essenziale”. Basterà a portare il settore fuori dalla crisi?

