Il tricolore sul Prosecco è un dispositivo anti-frode: e le fascette DOC e DOCG, allora?

Il Prosecco è il primo vino ad accogliere la fascetta tricolore, nuovo contrassegno di Stato e strumento anti-contraffazione. Ma non sembra un po' superfluo?

Il tricolore sul Prosecco è un dispositivo anti-frode: e le fascette DOC e DOCG, allora?

Il Prosecco ha adottato la fascetta tricolore: verde bianco e rosso tra tappo e collo. Trattasi di un “dispositivo anti-contraffazione” e di “garanzia di qualità certificata”, si legge sulla stampa generalista. Sono belle parole, ma forse un po’ piene di vento: non si tratta forse di funzioni già svolte dalle fascette DOC e DOCG?

L’etichetta di un vino può essere più o meno parlante, al di là delle informazioni obbligatorie per legge. Alzando lo sguardo verso il collo della bottiglia, però, si può notare – in alcuni vini – la presenza di una tra due fascette: una blu, con su scritto DOC; e l’altra di un dorato scuro con su scritto DOCG. Si tratta di sigilli rilasciati dallo Stato che certificano l’autenticità del prodotto, e che contengono sistemi anti-contraffazione con dispositivi di tracciabilità gestiti da banche dati dedicati.

Ma a che serve, allora, il tricolore sul Prosecco?

fascette-vino

La questione è più semplice di quanto sembra, a dire il vero. Le due fascette di cui sopra – DOC e DOCG – contengono una lunga serie di informazioni relative a tracciabilità e registro del vino in questione, tra cui numero progressivo di identificazione e serie alfanumerica e volume e numero progressivo in codice a barre. Insomma: si tratta, a tutti gli effetti, di efficaci e collaudati dispositivi anti-frode che portano con sé un profondo significato culturale e ambiscono a tutelare una denominazione, il territorio che la compone e la comunità agricola che la popola.

E se la nuova chiave per raccontare il vino fosse la vulnerabilità? E se la nuova chiave per raccontare il vino fosse la vulnerabilità?

Su La Repubblica si legge che il Consorzio del Prosecco è di fatto “il primo ad adottare il sistema del nuovo contrassegno di Stato, destinato a DOC e DOCG”. Vale a dire: si tratta di un aggiunta valida solo per quelle produzioni di fatto già tutelate. È un po’ come apporre un lucchetto comprato in ferramenta a una porta blindata e forte di antifurto e telecamere di sorveglianza: il lucchetto fa certo la sua figura, bello solido e di metallo brillante, ma rimane complessivamente superfluo.

Vale la pena notare che la bandiera italica in etichetta ribolle in quella fucina di idee che è il cervello del ministro Lollobrigida da sei mesi almeno: servono a valorizzare “l’italianità” e a promuovere il nostro vino nel mondo, scriveva il nostro dal suo angolo nella vetrina dei social. Era aprile 2025, e se ne sentiva il bisogno tanto quanto adesso. Cioè per nulla.

A mesi di distanza il registro è pressoché lo stesso. Su Instagram Lollobrigida scrive che la fascetta tricolore è “un segno concreto contro frodi e imitazioni”, nonché “garanzia di un prodotto vero, italiano, d’eccellenza”. Il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, gli fa eco: “è importante che lo Stato tuteli con attenzione i prodotti nazionali”. Parole sacrosante, signor Fontana: le fascette DOC e DOCG svolgono la esatta medesima funzione. Ma forse non sono abbastanza patriottiche?

Ma chissà, magari un risvolto pratico esiste: può essere che Lollobrigida sia fan del tennis (d’altronde chi non lo è, di questi tempi?) e che, dopo aver letto di Jannik Sinner che festeggia con l’Asti ma che per la stampa diventa Champagne, abbia tuonato un “Sia mai più!” dalla sua camera da letto. Reazione comprensibile, dobbiamo dire – e non a caso il famigerato tricolore va a posarsi proprio sul collo del Prosecco, altra bollicina italica che guai a confonderla con un Cremant qualsiasi.