Sessantaseimila litri di vino equivalgono grossomodo a circa novantamila bottiglie di formato standard. C’è chi, chiamato a riassumere questa abbondanza in una manciata di parole, parlerebbe di “un ottimo aperitivo”. Altri, come il ministro Lollobrigida, potrebbero pensare a un miracolo del Figlio del Padre Eterno. Gli amici del Guinness World Record, invece, si limitano a parlare di primo posto al mondo.
La botte di vino più grande del mondo (a oggi) si trova in Azerbaijan, è pienamente operativa e i suoi numeri, come abbiamo visto, sono più che eloquenti. Si trova nella cantina Savalan, azienda vitivinicola tra le più note del Caucaso, che con questo particolare primato porta il proprio Paese sotto la luce dei riflettori di tutto il mondo. E c’è anche un angolo d’Italia, a dire il vero.
Ma cosa c’è all’interno?
La domanda sorge spontanea: gli oltre 60 mila litri di vino all’interno sono rossi, e più precisamente si tratta di un blend di – stando a quanto lasciato trapelare – Cabernet Sauvignon, Merlot, Petit verdot e Syrah. Ma al di là delle dimensioni da capogiro, del riconoscimento da parte del Guinness World Record e del lodevole sforzo ingegneristico, la botte vuole anche e soprattutto essere simbolo.
La botte si trova nella cantina Savalan, come abbiamo visto, ma la realizzazione è opera della Garbellotto Botti, storica azienda fondata nel 1775 che nel 2020 si è trasferita a Sacile, utilizzando doghe di rovere con uno spessore tra gli 85 e i 100 mm e una lunghezza di oltre 5 metri. Il progetto ha richiesto un periodo di stagionatura all’aperto di cinque anni e il lavoro manuale di 50 maestri bottai, come riportato da Friuli Oggi.
L’angolo di mondo che festeggia il primato è una delle più antiche culle del vino, con testimonianze archeologiche che risalgono a oltre 6 mila anni fa. La botte di casa Savalan, come accennato nelle righe precedenti, vuole dunque essere manifesto e simbolo di rinascita per il vino azero e per la regione tutta.
L’Azerbaijan è incastonato tra l’Asia e l’Europa, e scavi risalenti agli ultimi decenni hanno dimostrato che le popolazioni locali producevano vino già nel neolitico, ben prima della diffusione della viticoltura in Europa occidentale. La storia più recente porta soprattutto l’accento del periodo sovietico, dove la produzione vitivinicola fu ridotta a logiche industriali e spesso standardizzate, con gravi danni alla qualità e alla reputazione del prodotto.