A ottobre 2025 la Rossa si era detta pronta a conquistare il mondo. Saremo più influenti di quel mister cento punti, un tal Robert Parker; aveva detto il presidente Florent Menegaux. Era stato un annuncio di autorità, insomma: la Guida Michelin si sarebbe lanciata sul vino.
Una mossa per popolare l’intero segmento lifestyle – le chiavi, sistema di classificazione degli hotel, era arrivato due anni prima – e comunicarsi con una certa sicumera: in riferimento al sopracitato Parker, Menegaux era dell’idea che la nuova classificazione gommata sarebbe stata più influente perché “il marchio Michelin è molto più potente“. Ebbene: nelle ultime ore la Rossa ha annunciato regole e norme operative.
Come funziona la Guida Michelin del vino?

Dai macaron ai Grappoli, dunque: questo il simbolo con cui i nostri protagonisti – e citiamo direttamente il sito ufficiale – “metteranno in risalto le aziende vinicole di diverse regioni del mondo, valutandone l’eccellenza complessiva sulla base di cinque criteri universali”. L’idea è di non premiare i soli vineyards – qui inteso all’anglosassone come “tenuta vinicola”o più volgarmente “cantina” -, ma “anche e soprattutto le persone che li gestiscono”.
La scala di valutazione è quella collaudatissima e tripartita – uno, due e tre Grappoli, con tanto di vineyards consigliati dagli ispettori in rosso. Vale la pena sottolineare che la descrizione assegnata a ciascun scalino parla soprattutto di “creazioni della tenuta”, o di “qualità e consistenza”, o ancora di “annate” e “carattere” – parametri che parlano soprattutto del prodotto vino, e meno (immaginiamo) della tenuta in sé. Teniamolo a mente: sarà rilevante più avanti.
Saranno cinque, come accennato, i “criteri universali” che governeranno l’assegnazione dei grappoli. Ve li riportiamo a mo’ di lista, che sono più che eloquenti: qualità agronomica, padronanza tecnica, identità (vini che “esprimono la personalità, il senso del territorio e la cultura che li anima”), equilibrio e coerenza su più annate.
I parametri parlano la lingua del vino, che è la stessa lingua parlata dai Grappoli. La selezione sarà messa in azione da una platea di ispettori enologici dedicati, “tutti professionisti del Gruppo Michelin”, con tanto di panel di valutazione; e la prima edizione sarà limitata a Bordeaux e Borgogna. Tutto interessante e lecito: ma c’è un qualcosa che vale la pena sottolineare.
L’ambizione della Michelin, dicevamo, può essere intesa come il voler togliersi l’abito di guida gastronomica e indossare quello da autorità mondiale in materia di lifestyle. Il paragone immediato e ineviatibile è con i rivali (si può dire?) di casa 50 Best, il cui marchio regge un quartetto di classifiche dedicate – ristoranti, bar, hotel e vineyards.
Insomma: se il vicino di casa costruisce tocca mantenere il passo, si parte dal pratino e si va fino in cielo. Quello del vino era un segmento rilevante e non del tutto presidiato in casa Michelin, e questa è la risposta: non credo sia un caso che arrivi a stretto giro dall’annuncio della selezione dedicata agli hotel. C’è però una differenza sostanziale: la classifica di 50 Best valuta l’esperienza turistica di visita nelle cantine, mentre la declinazione gommata vuole parlare di vino come elemento discriminante. Possiamo parlare di derby?
