Perfino l’America di Donald Trump, il presidente che friggeva patatine al fast food durante la campagna elettorale, se la prende con i cibi ultraprocessati. Ma se la prende di brutto eh, mica solo parole al vento, ché tutto si può dire ma non che gli Americani non siano gente d’azione. E così, la città di San Francisco decide di fare causa ai colossi del food come Nestlè, Mondelez e Coca-Cola. L’accusa, rivoluzionaria, è sostanzialmente quella di aver “avvelenato” lentamente i consumatori, per poi gravare sulla sanità pubblica. E tutto sommato, se si guardano bene i fatti, sembra avere tutto un chiarissimo filo logico.
L’accusa è rivoluzionaria, e dovrebbe portare a una grande riflessione collettiva. Anche qui da noi, dove si parla tanto di alimentazione sana, di prodotti italiani, ma i provvedimenti e le iniziative serie a favore di una corretta educazione alimentare latitano, e figurarsi se qualcuno osa schierarsi nei confronti di aziende che fanno girare l’economia, nazionale o internazionale che sia.
Invece, nell’America dove tutto si fonda sul business, una cosa del genere non solo è plausibile, ma sta avvenendo in questo momento. E sì, in effetti c’entra anche una questione legata al denaro, ma non è certo questo il punto.
Qual è l’accusa di San Francisco verso le aziende del food?

In sostanza la città di San Francisco, rappresentata dall’avvocato David Chiu, ha fatto causa a dieci aziende che producono alcuni degli alimenti e delle bevande più popolari del Paese, dai nuggets di pollo alle pizze surgelate, dalle patatine ai cereali zuccherati per la colazione: alimenti ultraprocessati, spesso raccontati dalla pubblicità addirittura come salutari, come nel caso, per esempio, delle barrette di cereali.
L’accusa è quella di aver venduto alimenti che creano dipendenza e che sono corresponsabili di diverse malattie. Malattie di cui poi si è dovuta fare carico l’amministrazione locale, attraverso un aumento dei costi dell’assistenza sanitaria pubblica.
Una questione economica, insomma. Sì, ma anche sociale e culturale, in uno scontro senza precedenti, che accusa esplicitamente le multinazionali dell’alimentazione di essersi comportate non troppo diversamente da quelle del tabacco. Solo che in un caso il legame con le malattie, e la conseguente condanna, è chiara a tutti, mentre nell’altro caso così non è.
“Queste aziende hanno progettato una crisi di salute pubblica, ne hanno tratto profitti lauti e ora devono assumersi la responsabilità del danno che hanno causato”, ha spiegato David Chiu in una nota.
Ma gli alimenti ultra processati si meritano tutto questo?

La causa della città di San Francisco segue l’evidenza che gli alimenti ultra processati (che si stima compongano circa il 70% della dieta dello statunitense medio, bambini inclusi) siano dannosi per la salute. A sostenerlo, al di là delle opinioni personali, è la più grande analisi scientifica sull’argomento condotta al mondo, e presentata giusto un mese fa. I risultati, tratti da una serie di tre articoli pubblicati sulla rivista Lancet, ha sostanzialmente portato alla conclusione che i cibi ultraprocessati aumentino i rischi associati a una o più malattie croniche e alla morte precoce.
Ma c’è chi insiste sul fatto che non esiste una “definizione scientifica concordata” di cosa siano gli alimenti ultra-processati, come Sarah Gallo, vicepresidente della politica sui prodotti presso la Consumer Brands Association. Ed è vero, in effetti. Cosa sono esattamente gli alimenti ultra processati? E, se sono davvero così dannosi per la salute, perché non chiediamo a gran voce che vengano innanzitutto definiti con precisione, in modo da chiarire le idee al consumatore, e poi magari etichettati come potenzialmente dannosi, come avviene per le sigarette?
Perché alla fine la città di San Francisco ha ragione da vendere: se l’antefatto (e cioè che i cibi ultraprocessati fanno male alla salute) viene dimostrato, il costo (non solo economico, ma anche sociale) ricade poi su tutti quanti.
