La scienza dice che con gli scarti della birra potremmo fare le medicine

Birra, medicine, proteine alternative: uno studio norvegese lega li lega tutti e tre in una sola soluzione.

La scienza dice che con gli scarti della birra potremmo fare le medicine

Recupera, riutilizza, reimmagina. Il soggetto è lo scarto, l’azione – con le dovute proporzioni – sempre la stessa: dargli una nuova vita. Scendendo un po’ più nei dettagli il nostro protagonista è uno scarto della birra, le cosiddette trebbie. La sua nuova vita? Alternativa alle proteine animali o medicine.

Non un’aspirina due punto zero, badate bene. Stando a quanto sostenuto da una ricercatrice dell’Università norvegese della scienza e della tecnologia (NTNU per gli amici), infatti, il nostro protagonista, forte di un ricco carico di proteine e amminoacidi, potrebbe essere utilizzato come emulsionante per realizzare le capsule dei medicinali stessi. Ma come?

Buttare giù con un po’ di acqua (o di birra)

birra

Dicevamo: recupera, riutilizza, reimmagina. Lo studio, con le dovute proporzioni, ricorda il recentissimo progetto scozzese che vede gli scarti del whisky recuperati per creare packaging compostabili, leggeri e ignifughi. Ma torniamo ai nostri – a oggi le trebbie della birra, per l’appunto, vengono utilizzate principalmente come additivo nei mangimi per animali o smaltite come prodotto… Beh, di scarto.

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Toktam Farjami, autrice dello studio, ha individuato come chiave di volta il fatto che “le proteine ​​presenti nelle trebbie siano idrorepellenti”. Questo, spiega la scienziata, significa che possono agire allo stesso tempo “come emulsionanti” e utilizzate “per creare una pellicola protettiva”. Bingo.

La pellicola di cui sopra può essere utilizzata per realizzare le pareti di capsule più o meno microscopiche, utili in campo medicinale o nell’industria degli integratori alimentari. Ma non è solo una questione di resistenza, ovviamente – le capsule in questione devono anche essere in grado di preservare quel che si trova all’interno.

Farjami ha spiegato che, con i dovuti accorgimenti (come sostituire l’acido cloridrico con l’acido citrico, si legge nello studio), le microcapsule sono state in grado di “preservare l’olio di pesce, rendendolo fine come l’olio fresco, anche dopo averlo conservato per 15 giorni a 40 gradi“. E poi c’è l’altro elefante nella stanza.

Secondo i dati dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) il consumo di carne dovrebbe aumentare del 73% entro il 2050, in conceerto con la rapida crescita della popolazione mondiale. Nell’affrontare il futuro alternative alle proteine animali come quelle presentate da Farjami potrebbero fare la differenza. Certo, c’è anche la frontiera della carne coltivata: finché continueremo a farle guerra, però…