Lago Maggiore, i pescatori devono pagare una tassa alla famiglia Borromeo: la denuncia di Milena Gabanelli

La pesca sul Lago Maggiore passa attraverso la famiglia Borromeo: i pescatori devono pagare una tassa annua.

Lago Maggiore, i pescatori devono pagare una tassa alla famiglia Borromeo: la denuncia di Milena Gabanelli

Chi siete? Dove pescate? Un fiorino! La pesca nel Lago Maggiore – parte svizzera esclusa – passa necessariamente attraverso il benestare della famiglia Borromeo. Benestare che, naturalmente, ha un prezzo: 50 euro per i pescatori dilettanti e ben 3500 per i professionisti. No, non si tratta di uno spin-off lacustre del Trono di Spade, ma di quanto effettivamente accade da secoli in uno dei maggiori (gioco di parole non voluto, davvero) laghi italiani e di recente portato alla luce mediatica da una indagine di Milena Gabanelli del Corriere della Sera. Ma procediamo con un po’ di ordine, e riavvolgiamo il filo – o forse la rete da pesca – della storia.

“Tuteliamo il lago e lo Stato riconosce il nostro diritto” spiega Vitaliano Borromeo in riferimento ai diritti esclusivi di pesca di cui la sua famiglia gode da secoli. Addirittura secoli? Eh sì: i diritti in questione hanno di fatto origine nell’Alto Medioevo, ed è importante notare che quello del Lago Maggiore è un caso che trova ampia risonanza in innumerevoli esempi storici. Ciò che lo rende particolarmente degno di nota, come spiega Gabanelli, è però la sua “estensione e durata dei privilegi in mano a un solo soggetto privato”. Il tutto, però, comincia a stare stretto a pescatori e istituzioni: la Fipsas (Federazione italiana pesca sportiva e attività subacquee), ad esempio, prende in affitto i diritti attraverso contratti triennali e fa pagare ai pescatori una tassa da 50 euro tramite un bollettino postale intestato alla Fipsas di Villadossola, Verbania – la controparte di Borromeo nella scrittura privata, per intenderci.

pesca

Confusi? Ve lo spieghiamo con altre parole. Il principe, passando la patata bollente alla Fipsas, si evita il mal di pancia di dover mantenere uomini e mezzi sui tratti di competenza e incassa bonariamente il proverbiale fiorino. “Se è vero che i Borromeo devono fare ripopolamento ittico e manutenzione delle rive, ecco a noi questo proprio non risulta” commenta a tal proposito Rolando Saccucci, presidente dei pescatori dilettanti dell’Alto Verbano. “In tutto il lago hanno una sola guardia ittica pagata da loro”.

Cerchiamo di essere ancora più lapidari: il principe vuole i suoi soldi; la Fipsas dice “Ragazzi, se non paghiamo qui non si pesca”, prende il diritto in affitto e lo gira ai pescatori che devono dunque sborsare. Complessivamente le tasche del principe s’ingrassano di circa 76 mila euro l’anno, ma di fatto il nocciolo della questione non è affatto economico. La domanda, in sostanza, è: qual è il senso di un tributo concentrato nelle mani di un privato?

pescatore

I diritti in questione furono messi in nero su bianco “dalla metà del ‘400, quando Filippo Maria Visconti concesse a Vitaliano I Borromeo la proprietà di Arona, Cannobio, Lesa del Vergante con tacita annessione dei diritti sulle acque e quindi sul lago” spiega Borromeo. Gli stessi diritti furono poi ribaditi “da un decreto del ministro per l’Agricoltura del 1931″ a patto che la famiglia si sarebbe impegnata a provvedere “alla sua protezione, in primis alla tutela della fauna ittica”. Doveri che, stando alle parole dello stesso Vitaliano, sono assolti tramite “1) programmi annuali di seminagioni e immissioni di avannotti, (…) e ogni altro eventuale obbligo ittiogenico (definito nell’accordo con Fipsas); 2) servizio di guardapesca aggiuntivo (53.965,61 euro dal 2017 al 2022); 3) la partecipazione al progetto di ricerca e ripopolamento» tra vari enti del lago «per un valore di 10.000 euro annui per 5 anni”.

Ma chi si occupa di verificare che le norme ittiche siano di fatto rispettate? Semplice – i guardapesca volontari Fipsas, che di fatto dovrebbero autodenunciarsi qualora dovessero emergere delle negligenze. L’inchiesta di Gabanelli sembra essere giunta a un punto morto, la lenza spezzata: una chiamata alla sede della presidenza Fipsas in quel di Roma rivela che il presidente nazionale non sa nulla e che le sezioni hanno un’autonomia completa – pagamento del fiorino evidentemente incluso.