Meno, ma meglio: scommettiamo quali saranno i 30 marchi tagliati da Campari?

La nuova strategia di Campari per tornare alla crescita entro il 2027 non va per il sottile: verranno ceduti 30 marchi su 72.

Meno, ma meglio: scommettiamo quali saranno i 30 marchi tagliati da Campari?

Campari sta ridefinendo il suo percorso strategico con un focus intenso sulla semplificazione e sulla riduzione del portfolio marchi, come annunciato in seguito al Capital Market Day: il gruppo mira a ridurre l’ampiezza delle operazioni, ma senza perdere di vista la necessità di mantenere la crescita. L’obiettivo centrale, emerso anche dalle parole del ceo Simon Hunt, è chiaro: “il focus è lavorare su meno marchi, semplificare ed essere più disciplinati”.

Per realizzare questo intento, non si andrà per il sottile: la strategia prevede la potenziale dismissione di circa 30 brand, su un totale di 72 posseduti, marchi già etichettati come “senza ruolo” nel portfolio: “se non hanno un ruolo, perché li teniamo? Se non rendono, perché tenerli?”, chiede retoricamente Hunt.

Da Cinzano e Tannico ai 30 senza ruolo

tannico

La cessione dei marchi meno profittevoli (circa il 9% del totale) è vista come un mezzo rapido non solo per accrescere la redditività, ma soprattutto per ridurre la leva finanziaria: Campari è già passata da un rapporto di 3,6 volte a 2,9 e mira a scendere a 2,5 “il più velocemente possibile”. La vendita di Cinzano alla famiglia Caffo e di Tannico rappresentano i primi passi in questa direzione, ma altre trattative sono in corso: “ci sono diverse trattative in corso; non so se tutte si concluderanno con una cessione, ma spero di sì”.

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Nonostante i risultati positivi del terzo trimestre, l’azienda riconosce che il contesto di mercato rimane complesso. Il CEO Hunt ha ammesso: “siamo orgogliosi dei risultati ottenuti, ma penso che ci sia ancora molta volatilità”. Il settore degli alcolici sta affrontando pressioni “senza precedenti” dovute all’inflazione e a sfide strutturali, inclusa la crescente moderazione nel bere e l’uso di farmaci GLP-1, come l’Ozempic.

Negli Stati Uniti, il CFO Paolo Marchesini ha indicato che le sfide nel mercato degli spirits persistono, sebbene l’azienda stia adottando strategie di prezzo flessibili per marchi come Skyy Vodka, con risultati che sembrano portare ad un “impatto positivo sui profitti”.

Quali marchi saranno abbandonati?

Difficile dirlo, quello che è certo è che l’attenzione si sposterà sui big del gruppo, i veri motori della crescita, come Aperol, Espolon, Wild Turkey e Courvoisier, che possiamo ritenere al sicuro. Aperol da solo rappresenta circa il 26% delle vendite, e anche Espolon tequila si sta mostrando un marchio forte, beneficiando di un posizionamento che Marchesini definisce “sweet spot a 27 a 29 dollari a bottiglia, quindi può solo accelerare”.

Per quanto riguarda l’integrazione di Courvoisier, Hunt ha mostrato fiducia sul lungo termine: “credo che se fra 10 anni ci troveremo qui a chiederci se è stato un buon acquisto, la risposta sarà affermativa”, sarà quindi lecito aspettarsi una spinta in termini di marketing e comunicazione sul cognac, anche in miscelazione. L’azienda intende anche sfruttare il potenziale di Crodino all’estero, dove la crescita è stata “a doppia cifra” nei sei mercati di lancio.

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Senza dati ufficiali, possiamo solo azzardare dei pronostici: nel settore aperitivi, con un altro marchio forte come Cynar, Picon e Sarti Rosa potrebbero essere i papabili di cessione, così come Wilderness Trail e Wray and Nephew tra rum e whiskey; con Espolon intoccabile, tra gli spirits a base agave del gruppo potrebbe toccare al mezcal Montelobos, o ai liquori piccanti di Ancho Reyes, prodotti un po’ più di nicchia.

Sarebbero già delle cessioni importanti, ma siamo ancora molto lontani dalle trenta annunciate, per le quali bisognerà pescare soprattutto nel “local portfolio”, con marchi come Riccadonna spumanti, rum Trois Rivières, O’ndina gin e molti altri. L’imperativo aziendale è ora “tornare alla modalità crescita”, con un piano che arriverà al 2027.