Nuova Zelanda: proteste degli allevatori per la “tassa sui rutti”

La cosiddetta tassa sui rutti proposta dal governo della Nuova Zelanda non ha trovato il favore degli allevatori locali.

mucche allevamento

Niente tassa sui rutti delle nostre mucche: così potremmo riassumere il coro di voci che, nelle città e nei paesi di tutta la Nuova Zelanda, si stanno levando in protesta contro il piano delle autorità governative di essere il primo Paese al mondo a tassare le emissioni degli animali da allevamento. Ve ne parlammo proprio qualche giorno fa: l’obiettivo del governo, naturalmente, è quello di ridurre le emissioni; ma per quanto sia un traguardo nobile non ha incontrato il favore di allevatori e agricoltori, che di fatto hanno formato veri e propri convogli di trattori e camioncini interrompendo il traffico in quel di Wellington, Auckland, Christchurch e altri importanti centri abitati al fine di far sentire la propria voce.

allevamento

Eh sì, perché di fatto la tassa “rutto e scorreggia”, come hanno preso a chiamarla, rischia di danneggiare pesantemente l’economia del settore, travolgendo soprattutto le aziende più piccole. Il governo, tuttavia, pare determinato ad andare a fondo: il primo ministro Jacinda Arder ha sottolineato come la tassa sia necessaria a rallentare il riscaldamento globale, evidenziando addirittura come potrebbe persino avvantaggiare gli agricoltori se questi riuscissero a imporre un prezzo più alto per la carne. La risposta dalla filiera agricola non lascia spazio a dubbi: “Non ce la faremo”.

“L’impegno ideologico del governo nei confronti delle tasse punitive sulle emissioni sulla produzione alimentare è una minaccia esistenziale per le comunità rurali” ha commentato a tal proposito Bryce McKenzie, cofondatore di Groundswell New Zealand, che ha organizzato la protesta. Mentre il governo spera che la tassa riduca le emissioni di bestiame del 20%, McKenzie sostiene che “eventuali riduzioni saranno sostituite da agricoltori stranieri meno efficienti”. Le autorità governative fanno bene a dare priorità alla lotta al cosiddetto climate change – e non prendiamoci in giro, gli allevamenti intensivi sono un ottimo punto di partenza -, ma allo stesso tempo le rimostranze degli agricoltori sono comprensibili. “Il settore rurale e agricolo di questo paese è stato duramente colpito da inondazioni, tempeste intense e siccità solo quest’anno”, ha affermato Emily Bailey di Climate Justice Taranaki, che invece condanna le proteste. “Gli agricoltori possono adattarsi e ridurre rapidamente le proprie emissioni o loro, e tutti gli altri, soffriranno di più”.