Pecorino Romano, dopo guerra e pandemia il Consorzio punta il dito contro la politica: “Priva di strategie”

Il Consorzio del Pecorino Romano punta il dito contro la politica, colpevole della mancanza di proposte concrete per risollevare il settore.

Pecorino Romano, dopo guerra e pandemia il Consorzio punta il dito contro la politica: “Priva di strategie”

Pandemia, guerra e ora perfino la politica minacciano il futuro del Pecorino Romano: se le prime sono state trovate colpevoli di aver innescato cali dei consumi, aumenti dei costi di produzione (favoriti, beninteso, anche dal fiorire di diverse tendenze speculative) e aver provocato uno stato di tensione generale nel mercato internazionale, l’ultima è invece rea di immobilità. “Priva di strategie” tuona il Consorzio di tutela “concentrata a dividersi seggi e candidature ma totalmente assente sui problemi reali che gli operatori del settore vivono”. Eh sì, perché in quello che potremmo definire senza troppi giri di parole un momento (l’ennesimo?) delicato per il futuro volto politico del nostro caro vecchio stivale, le proposte di intervento nel settore agroalimentare – uno dei traini dell’economia nazionale – sembrano essere spariti dalle agende e dai programmi elettorali dei partiti.

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Da qui la denuncia del presidente del Consorzio Gianni Maoddi, che punta il dito contro l’assordante assenza di “proposte concrete per risollevare il settore dopo la pandemia e la guerra, per contribuire a far fronte ai costi di produzione e trasformazione, ingigantiti da una speculazione senza precedenti come quelli di esportazione”. Il primo capitolo degli interventi, secondo la lettura proposta da Maoddi, dovrebbe puntare sul ricambio generazionale, in modo che prodotti come lo stesso Pecorino Romano possano fare affidamento su una continuità della propria produzione.

“Si parla sempre di spopolamento delle zone interne, ma se ne parla e basta” prosegue in tal senso Maoddi. “Mettere a punto politiche mirate per incentivare i giovani a restare nella loro terra e lavorare nel mondo dell’allevamento, a restare nelle aziende di famiglia, sarebbe uno dei modi più validi e concreti per evitare la grande fuga alla quale stiamo di nuovo assistendo. Spetta alla politica anche studiare strategie per migliorare le tecnologie, sostenere la valorizzazione delle produzioni, sostenere le imprese”.