Che i tempi per la ristorazione siano complicati non è un mistero, ma è più facile rendersi conto della serietà della situazione quando a fare scelte draconiane sono nomi importanti. A optare per la chiusura stavolta è Viviana Varese, che ha annunciato che dal 22 dicembre il suo “Polpo”, ristorante di cucina di pesce pop, chiuderà i battenti: la chef, stellata sia da Alice che di Viva all’interno di Eataly Smeraldo, non ne fa un dramma, ma coglie l’occasione per una analisi lucida sullo stato attuale del settore, in un’interessante intervista rilasciata al Corriere della Sera.
Tempi di crisi

Su una cosa Varese tiene ad essere chiara: il ristorante non era in crisi. “Non chiude perché non funziona, vorrei precisarlo. Chiude perché la proprietaria della licenza, la mia socia Ritu Dalmia, dalla quale io ero in affitto, ha ricevuto una buona offerta e ha deciso di vendere”.
Un cambiamento fisiologico insomma, in una città come Milano in cui due anni di vita per un locale stanno diventando più un traguardo che un punto di partenza, e dove non si fanno prigionieri: o un locale “spacca” o è destinato all’oblio, e anche un numero di coperti dignitoso e magari sostenuto da una gestione finanziaria accorta e professionale non è più abbastanza per non accettare proposte di vendita allettanti quando si presentano.
Soprattutto se si sceglie di lavorare in una fascia media, dove le marginalità sono particolarmente risicate, e alla chef salernitana certe dinamiche non sfuggono: “Nella ristorazione stiamo vivendo un dualismo estremo: da un lato il settore del lusso funziona benissimo, dall’altro i locali di fascia media soffrono, perché la gente ha meno soldi, il potere d’acquisto si è corroso, il clima politico internazionale spaventa, le persone escono meno e hanno cambiato abitudini. Gli incassi di “Polpo” sono calati del 30 per cento tra 2024 e 2025: i costi sono aumentati e i clienti diminuiti”.
La politica di adeguare gli stipendi dello staff al costo della vita, aumentandoli del 50% è stata sicuramente meritoria, ma non ha giovato ai conti, e nemmeno sulla facilità di reperire manodopera: “la prima fatica è stata trovare il personale. Per i ristoranti di fascia media come “Polpo” è veramente dura. Va un po’ meglio nell’alta ristorazione, dove c’è un po’ più di professionalità”.
Milano, si sa, è una piazza che fa gola a molti, e chi ha lo star power per aprire un’insegna secondaria ci prova sempre: il tristellato Giancarlo Perbellini ha una delle sue Locande in via Moscova e tiene botta, Niko Romito, anche lui titolare di tre macaron al suo Reale, ha tenuto aperto il suo Spazio per un decennio, per cui non si può certo parlare di esperienza fallimentare. In città poi ci sono esempi primigeni della formula come il “Chic’n Quick” di Claudio Sadler (aperto dal 2008 al 2024, ora spazio polifunzionale ribattezzato “Incontri”), e professionisti che sembrano non sbagliarne una come Cesare Battisti -non stellato al suo Ratanà ma poco conta- che con Remulass e Silvano dà prova di aver ben chiara in testa la formula del pop.
Insomma, l’interesse verso una ristorazione più informale c’è, ma le difficoltà sono evidenti. Continua Varese: “la città è cara e una persona normale, con 2.000-2.500 euro di stipendio al mese, fa veramente fatica (…) spendere 50 euro diventa un problema. E anche chi sta un po’ meglio oggi tende a fare altre scelte (…) Un altro tema è che ci sono troppi ristoranti di fascia media, con il tempo si è creata una concorrenza al ribasso”.
Altra questione fondamentale: l’offerta aumenta e la domanda cala: “Io spererei che tornassero le licenze contingentate in base al numero di abitanti, come accadeva prima delle liberalizzazioni. Almeno avrebbero un valore. Oggi invece può aprire chi vuole: il risultato è che siamo tantissimi e che spesso la qualità è bassa. Ci sono anche molti locali che aprono con soldi riciclati, in mano alle mafie: lavorano male, tanto non hanno interesse a guadagnare, ti rubano il personale e rovinano la piazza agli altri”.
Da parte sua, Viviana Varese avrà di che tenersi impegnata: sicuramente al “Passalaqua”, struttura alberghiera tra le più belle del mondo e già titolare delle tre chiavi Michelin, a cui mancherebbe proprio una stella, e con FAAK, suo laboratorio creativo dove porterà anche qualche piatto di Polpo.
La fine di quest’esperienza e le riflessioni della chef non vanno sottovalutate: tra il fast food e lo stellato c’è un mare magnum di attività che stanno affrontando una crisi senza precedenti e, cuochi altisonanti o no, la crisi mieterà molte vittime.

