Regno Unito, aperta un’indagine sul greenwashing nel cibo

L'ente regolatore della concorrenza del Regno Unito ha avviato un'indagine sui casi di greenwashing nella filiera alimentare.

Regno Unito, aperta un’indagine sul greenwashing nel cibo

Una nuova mano di vernice verde fiammante, una campagna pubblicitaria piena di belle parole piene di vento come “sostenibilità” e “rispetto dell’ambiente” et voilà – il cliente è rassicurato, il pubblico contento, il prodotto improvvisamente amico del nostro affaticato pianeta. D’altronde l’occhio dei consumatori, al momento della spesa, presta sempre più attenzione all’effettivo impatto climatico dei prodotti con cui si va a riempire il carrello: vedere la rassicurazione che sì, non temete, state comprando roba sostenibile; è sempre più determinante. Motivo per cui, dietro tutta questa seduzione verde sovente si cela una realtà completamente diversa: è il caso del greenwashing, ecologismo di facciata che sta inquinando sempre più la filiera alimentare – tanto che l’ente regolatore della concorrenza del Regno Unito ha avviato un’indagine per smascherare le aziende più “furbette”.

Alla fine vogliamo essere tutti dalla parte dei buoni

Greenwashing

Che è esattamente il motivo per cui il greenwashing funziona. La parola chiave l’abbiamo scritta qualche riga più su – rassicurazione: vogliamo essere rassicurati che il nostro carrello della spesa o le nostre abitudini alimentari non facciano del male al nostro caro e vecchio pianeta. Qualcuno, tuttavia, ha intenzione di squarciare l’ambientalismo di facciata ed esporre la realtà dei fatti: come accennato la Competition and Markets Authority (CMA per gli amici) del Regno Unito ritiene infatti che numerose aziende dell’agroalimentare stiano esagerando nel tentare di corteggiare i consumatori più attenti al clima.

Anche il cibo sta annegando in un mare di greenwashing Anche il cibo sta annegando in un mare di greenwashing

La nuova indagine – che, importante notarlo, ne segue una altrettanto importante nel settore della moda – riguarderà dunque cibo, bevande, prodotti per la pulizia e articoli per la cura personale come dentifricio e detersivo per bucato; andando a sondare l’effettivo impatto ambientale di aziende come Unilever, Nestlé e Coca Cola (brand non estraneo alle accuse di greenwashing e che inspiegabilmente è comunque riuscito a ergersi come sponsor del summit sul clima delle Nazioni Unite), nonché numerosi altri produttori attivi nel segmento della grande distribuzione. La CMA è stata chiara, e non concederà sconti: nel suo mirino finiranno aziende grandi e piccole.

In base a quanto scoperto, l’ente ha affermato che potrebbe prendere in considerazione l’adozione di azioni esecutive o l’apertura di un’indagine su una società specifica. “Siamo preoccupati che molti acquirenti vengano ingannati e potenzialmente paghino anche un sovrapprezzo per prodotti che non sono quello che sembrano”, ha dichiarato l’amministratore delegato della CMA Sarah Cardell. “Ora è un buon momento per le aziende per rivedere le loro pratiche e assicurarsi che stiano operando nel rispetto della legge”.