Selvaggia Lucarelli sulla carne lancia l’idea degli “onnivori sociali”

Cosa si intende per "onnivori sociali" e perché potrebbe essere una soluzione concreta al consumo di carne? Ce lo spiega Selvaggia Lucarelli.

Selvaggia Lucarelli sulla carne lancia l’idea degli “onnivori sociali”

Che cos’è un “onnivoro sociale“? È piuttosto semplice, in realtà – basta chiedere a Selvaggia Lucarelli, che ha parlato dell’idea durante la più recente puntata del suo podcast, “Il Sottosopra”. Prima di fiondarci nel concetto è però in realtà utile un breve intervento di un certo Carlo Cracco, che fa un po’ da chaperone: “Se noi ci abituiamo a mangiare la fettina di carne già tagliata” spiega lo chef “e non ci domandiamo da dove arriva la carne, è un problema, perché non serve mangiare la carne ma serve mangiare delle cose nuove”. Insomma, si direbbe che le carte sono state distribuite, la tavola apparecchiata: occorre parlare di carne.

Parlare di carne ci rende antipatici?

allevamenti intensivi

Beh, sovente sì. La gente ha la tendenza a sviluppare una certa ossessione difensiva quando si parla del consumo di carne; e sovente, a sottolineare l’evidente legame tra la sua produzione e il cambiamento climatico è un ottimo modo per farsi bollare come guastafeste (nelle migliori delle occasioni – tacciamo, per buona educazione, gli epiteti che saltano fuori nelle ben più frequenti peggiori occasioni). Ciononostante, il discorso va affrontato – come spiega la stessa Lucarelli, d’altro canto, che nella puntata sopracitata racconta di aver cambiato radicalmente il suo approccio alla questione.

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Dalle vacanze estive, svolte come di tradizione in quella cornice fuori dal tempo che è agosto, fino alle grigie giornate di gennaio, la giornalista racconta di avere mangiato carne solamente due volte. “Semplicemente” spiega a tal proposito “ho deciso che il mio contributo al pianeta, all’alimentazione sostenibile e al problema ambientale non partirà da un radicalismo estremo”. Il motivo emerge una manciata di secondi più tardi: “Credo che per aiutare concretamente la causa sia utile cominciare con convinzione di compromessi”.

In altre parole, sfidarsi con il Veganuary piace a tutti, ma il problema a monte è dolorosamente concreto e pertanto va affrontato con misure della stessa natura – concrete, tangibili, reali. Cancellare con la spugna la parola “carne” dalla dieta è un’utopia fortunatamente irrealizzabile, ma lo status quo presenta comunque un ricco apparato di grane che vanno affrontate e, si spera, risolte.

In questo senso, demonizzare tutti coloro a cui la carne piace (un gruppo in cui si inserisce anche l’autore di questo articolo) non serve a nulla, se non ad alimentare una scissione violenta che ammazza il discorso e ogni tentativo di soluzione con esso. Lucarelli è d’accordo: “I nazivegani hanno spesso un modo molto respingente e scoraggiante di fare proselitismo” spiega. “Quando sento sbraitare “Assassini!” ho un’immediata voglia di filetto al sangue”.

E come biasimarla. Quel che dovrebbe saltare all’occhio, tuttavia, è notare che è possibile conciliare questa posizione con un consumo di carne comunque più consapevole. Ipocrisia? No, affatto: la parola chiave, già scomodata qualche riga fa, è compromessi. “Bisogna creare un nuovo movimento di persone che scelgono di mangiare poca carne e allevata solo in un certo modo” spiega Lucarelli. “Qualcuno, in America, li ha già battezzati onnivori sociali”.

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Eccola qua, la parola che aspettavamo. L’onnivoro sociale è un qualcuno che mangia carne “solo in occasioni speciali, culturali, solo in compagnia, solo se la carne ha una provenienza etica”. Un compromesso, per l’appunto, che pare decisamente più appetibile – e soprattutto più concreto.