Uno studio italiano ha scoperto che le microplastiche nel cibo possono raggiungere le arterie

Le microplastiche sono nella terra, negli oceani, in quel che mangiamo e beviamo. Conseguenza: sono anche e soprattutto dentro di noi. E dunque?

Uno studio italiano ha scoperto che le microplastiche nel cibo possono raggiungere le arterie

Sono piccole, ma davvero piccole, e sono dappertutto, ma davvero dappertutto. Sono pezzetti, rimasugli, coriandoli: in una parola microplastiche. Sono nella terra, negli oceani, nel cibo; e come diretta conseguenza sono anche dentro di noi. Non è una buona cosa.

Uno studio italiano recentemente pubblicato sul New England Journal of Medicine ha preso in esame un numero di pazienti a cui erano stati rimossi depositi di grasso dalle arterie ostruite, insieme ai relativi dati di follow-up triennale. Lo spoiler è il più scontato di sempre: oltre al grasso c’erano anche le nostre microprotagoniste.

Ok, ma quante? E in quanti pazienti?

microplastiche

L’identikit ve l’abbiamo già fatto – trattasi di particelle di dimensioni inferiori a 5 mm derivanti dalla degradazione di imballaggi e materiali plastici (e non solo: pensate che se ne trovano di più nelle bottiglie di vetro che in quelle in plastica, o che sono ormai parte di ciò che mangiamo e beviamo) di vario genere, e che ormai hanno piazzato tendà e acceso falò nel nostro organismo. Ah, e hanno anche stretto amicizia con batteri come l’E. Coli, rendendola più pericolosa che mai. Ma non divaghiamo.

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Lo studio finale ha coinvolto 257 pazienti che si sono sottoposti a “endoarteriectomia carotidea per malattia carotidea asintomatica”, ossia – semplificando un poco – individui a cui è stata rimossa una placca di adipe dalle arterie. Gli scienziati hanno rilevato frammenti di polietilene, la plastica più comune al mondo, nella placca carotidea di 150 pazienti, che rappresenta il 58,4% di tutti i partecipanti. I ricercatori hanno anche osservato che “31 pazienti (12,1%) presentavano anche quantità misurabili di cloruro di polivinile”, la terza plastica sintetica più prodotta al mondo.

Le analisi del team di ricerca indicano che i pazienti “inquinati” avevano una probabilità quattro volte maggiore di aver subito “infarto miocardico, ictus o morte per qualsiasi causa” entro il follow-up di 34 mesi rispetto a quelli senza microplastiche o nanoplastiche rilevate. E non è tutto.

Fanno male, abbiamo sinteticamente accennato in apertura di articolo. Gli scienziati responsabili dello studio sono più loquaci: la permanenza di queste sostanze nell’organismo può innescare “effetti tossicologici”, ed è da valutare come potenziale fattore di rischio per diverse patologie, dalle malattie cardiovascolari, tra cui “alterazione della frequenza cardiaca, compromissione della funzionalità cardiaca, fibrosi miocardica e disfunzione endoteliale”, poiché promuovono lo stress ossidativo e l’infiammazione nell’organismo.